Il primo processo sugli scontri razziali d'America assolve il ragazzo bianco che ha sparato

Paola Peduzzi

L'anno scorso a Kenosha, in Wisconsin, la città era stata presa d’assalto: l'allora diciassettenne Kyle Rittenhouse aveva ucciso due persone e ferito una terza

Kyle Rittenhouse ha ascoltato in piedi il verdetto della giuria. A ogni “non colpevole” si è commosso, all’ultimo è scoppiato a piangere, sembrava stesse soffocando, è caduto: gli hanno portato dell’acqua, ha abbracciato l’avvocato, incredulo. Diciotto anni, Rittenhouse era accusato di omicidio intenzionale con aggravanti perché l’anno scorso aveva ucciso due persone e ferito una terza sparando con un fucile durante una delle tante manifestazioni contro il razzismo dell’estate del 2020, seguite all’uccisione da parte della polizia di George Floyd, a Minneapolis. Questa manifestazione era a Kenosha, in Wisconsin: pochi giorni prima la polizia aveva colpito un afroamericano sparandogli alla schiena (è rimasto paralizzato).

 

La città era stata presa d’assalto, le proteste pacifiche si erano presto trasformate in saccheggi e incendi, gli inviati dicevano che pareva di stare in guerra, ogni mattina si contavano danni e macerie. Poi è arrivato Rittenhouse, allora diciassettenne, in città dalla sera prima (parte della sua famiglia vive a Kenosha) per rispondere all’appello del gruppo Blue Lives Matter, che difende le forze dell’ordine, e poiché si parlava di clima di guerra è arrivato armato, e ha sparato. I suoi avvocati hanno sostenuto in questi giorni di processo che si trattasse di legittima difesa, e hanno negato le ricostruzioni che invece indicavano che Rittenhouse non avesse risposto a delle provocazioni ma stesse partecipando a una ronda contro Black Lives Matter. Quando ha ricordato quel giorno, testimoniando in tribunale, il ragazzo ha pianto. La giuria, dopo ventisei ore di consiglio, ha dato ragione a lui: legittima difesa, non colpevole di omicidio. In Wisconsin è legale per un diciassettenne avere quel tipo di arma.

 

Il processo è stato seguito dai media e dai commentatori con la consueta ostilità: per i conservatori era in corso, nell’aula di tribunale, la caccia all’uomo bianco, e preparandosi al peggio i conservatori hanno trasformato il ragazzo nell’emblema della sopraffazione del paese all’ideologia liberal e delle minoranze. Per i democratici, questo processo era un’altra occasione per pretendere giustizia e riaffermare non soltanto la lotta alle armi ma anche la pericolosità delle ronde a sfondo razziale. C’era talmente tanta tensione attorno al processo che il sindaco di Kenosha ha dispiegato la Guardia nazionale per paura di nuovi scontri. Nel racconto ideologizzato, ognuno si è affezionato alla propria visione e così c’è chi ha festeggiato il verdetto a favore del ragazzo trumpiano sventolandolo come un trofeo e chi, al contrario, ha detto che il paese è insalvabile se non sa distinguere una ronda dalla legittima difesa. I parenti delle vittime sono usciti dal tribunali increduli, anche loro, più di tutti.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi