Un sabba antisemita in Polonia

Micol Flammini

A Kalisz, nel giorno dell'indipendenza, i nazionalisti urlano: "Morte agli ebrei". Gli slogan si sono sentiti fino in Israele, che ha chiesto alle autorità polacche di intervenire

La marcia per festeggiare l’indipendenza in Polonia non ha più un valore unificante. Ogni 11 novembre vengono fuori le divisioni e  le storture non soltanto della Polonia ma dell’Europa intera, visto che a Varsavia si radunano le destre estremissime, tra un fascio e una croce uncinata. Quest’anno l’epicentro della bruttura non è stata la povera capitale, che di solito viene messa a ferro e  fuoco dai fanatici, ma Kalisz, una delle città più antiche della Polonia, a due passi da Łódź che in Polonia è la città del cinema, e dove la festa si è trasformata in un orrendo sabba dell’antisemitismo. 


A Kalisz un gruppo di nazionalisti, troppo nutrito per passare inosservato, non si è radunato per celebrare i centotré anni dell’indipendenza polacca. Non era lì per cantare l’unità di una nazione per troppo tempo fatta ostaggio di altri imperi, ma per gridare slogan razzisti, antisemiti e omofobi. “A morte gli ebrei”. “Dobbiamo cacciare in Israele la marmaglia di ebrei che parla polacco, come nel 1968”, anno delle campagne antisemite organizzate dal generale Moczar:  15 mila ebrei polacchi lasciarono la Polonia. “Lgbt, gay, ebrei, nemici della Polonia andatevene a Bruxelles”, “La Polonia è per i polacchi”, “In Polonia gli ebrei sono i signori e noi i loro schiavi”, “Liberi dall’ipocrisia ebraica”, e mentre urlavano bruciavano una copia di un documento medievale con il quale veniva offerta protezione agli ebrei nei territori polacchi. Uno dei motivi per cui tanti ebrei si ritrovarono in Polonia fu perché si trattava di una delle nazioni più tolleranti d’Europa e questo il magma di nazionalismo urlante non lo sa. “Morte, morte morte”, hanno gridato tra un mare di bandiere polacche, mentre qualcuno sul palco sfoggiava un’uniforme.

 

Le parole sono arrivate fino in Israele. Il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha detto di aspettarsi dalle autorità delle scuse e il presidente della Polonia, Andrzej Duda, è intervenuto: “La barbarie portata avanti da un gruppo di teppisti a Kalisz è contraria ai valori su cui si basa la  Polonia”. I rapporti tra  Polonia e Israele negli ultimi tempi non vanno bene e sono peggiorati dall’approvazione di una legge in agosto che impedisce agli ebrei eredi di proprietà sequestrate dai nazisti  di reclamarle. Questa è l’aria che respirano i nazionalisti, che sono a Kalisz ma non solo, ma è anche su questa aria che soffia il governo. Il PiS, il primo partito di maggioranza, si sta spostando sempre più a destra, flirta con il razzismo ed è apertamente omofobo. Eppure lo spettacolo di Kalisz  ha fatto di peggio:  anche il partito di governo è finito tra gli slogan, i manifestanti l’hanno definito “partito degli interessi sionistici”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)