In America

Un altro processo tormenta l'America, quello sull'omicidio di Ahmaud Arbery

Paola Peduzzi

Legittima difesa, ronde, razzismo. Un venticinquenne afroamericano ucciso in Georgia. La giuria si riunisce ora per la sentenza: un solo giurato su dodici è nero. Manifestazioni fuori dal tribunale, e il rischio di nuove violenze

Nelle prossime ore la giuria del tribunale di Brunswick, in Georgia, deve decidere sull’omicidio di Ahmaud Arbery, un venticinquenne afroamericano ucciso nel pomeriggio del 23 febbraio del 2020 nel quartiere prevalentemente bianco di Satilla Shores, appena fuori dalla città di Brunswick. Anche questo processo, come quello che si è concluso a Kenosha, in Wisconsin, la settimana scorsa con l’assoluzione dell’imputato Kyle Rittenhouse, riguarda la legittima difesa, le ronde, il razzismo ma ha avuto una risonanza mediatica minore per varie ragioni che hanno molto a che fare con le ossessioni sia della destra sia della sinistra americane.

   
In quel pomeriggio, il sessantacinquenne Gregory McMichael ha visto Arbery che correva, ha pensato che assomigliasse a un sospettato che aveva commesso dei furti nel quartiere, ha chiamato il figlio Travis, trentacinquenne, e insieme sono saliti sul loro pick up con un fucile e una pistola, e lo hanno inseguito. Un vicino, William Bryan, 52 anni, vedendoli, è salito anche lui sulla propria auto e si è unito all’inseguimento.
   
Bryan ha ripreso con il suo telefono quel che è avvenuto dopo: Arbery scappa, il pick up lo raggiunge, si mette di traverso, Gregory è sul retro del pick up armato, Travis di fianco alla porta del guidatore armato e grida al ragazzo di fermarsi. Arbery si rifiuta, c’è una colluttazione, Arbery prende la pistola, Travis gliela strappa, spara tre colpi e uccide Arbery. Quando la polizia arriva sul posto, non arresta i due McMichael, che sostengono di aver inseguito un cittadino pericoloso e di essersi dovuti difendere.

 

Due mesi dopo è uscito il video di Bryan, postato sul sito di una radio locale che ha detto di averlo ottenuto da una fonte anonima (si è poi scoperto che la fonte era un avvocato che aveva parlato con il vicino e che voleva dimostrare che non c’era, come si era detto, una bandiera confederata sul pick up dei McMichael). Senza il video, non ci sarebbe stato questo processo perché, come avevano scritto due procuratori in due documenti diversi, “per la legge della Georgia è perfettamente legale” difendersi se si pensa di essere in pericolo imminente.

    

Quella legge risale al 1863 ed è stata nel frattempo abrogata dal governatore repubblicano dello stato, Brian Kemp, perché discende direttamente dalle tutele riservate alle ronde contro gli schiavi, quando  nel sud i bianchi pensavano di avere ogni genere di potere di discrezione nell’utilizzo della forza contro gli afroamericani. Anche quando la schiavitù è stata abolita, questo tipo di leggi è rimasto: dal 1877 al 1950 in Georgia furono linciati seicento afroamericani, spesso dopo una caccia all’uomo fatta da bianchi che sostenevano di dover fermare un reato in corso. Circa 75 anni dopo, i McMichael con il loro vicino hanno dato la stessa giustificazione all’omicidio: avevamo “il compito e la responsabilità”, hanno detto, di mantenere sicuro il nostro quartiere.

   

In un video si vede che Arbery, poco prima della sua corsa, era entrato in una casa in costruzione: non gli è stato trovato nulla addosso e il proprietario della casa ha detto che il ragazzo non aveva commesso nessun reato lì dentro (forse si era fermato a bere a una fontanella del cantiere). I McMichael hanno raccontato che erano in stato di allerta perché c’erano stati dei furti nel quartiere. Secondo le ricostruzioni, due mesi  prima dell’omicidio di Arbery c’era stato un (unico) furto: era stata rubata una pistola da un’auto lasciata aperta e parcheggiata davanti alla casa dei McMichael.

   

Nelle ultime ore i procuratori e gli avvocati della difesa hanno tenuto i loro discorsi conclusivi. Secondo l’accusa, i tre uomini bianchi hanno “deciso di attaccare Ahmaud Arbery perché era un nero che correva per strada”, ed è stata quasi la prima volta che è stata citata la motivazione razziale. L’accusa sostiene che c’erano molte alternative di fronte a un presunto pericolo, come telefonare al 911, ma per dire cosa? “C’è un’emergenza, c’è un nero che corre davanti a casa mia”. Secondo la difesa, i tre avevano “il compito” legittimo di dare la caccia a un ragazzo sospettato di furto con “unghie lunghe e sporche” (a questo dettaglio, la madre di Arbery ha detto: “Wow, è meglio che vada via”, si è alzata ed è uscita dall’aula) che ha preso l’arma al suo inseguitore e che quindi avrebbe potuto utilizzarla: “È concesso difendersi. È concesso usare la forza, anche letale, se pensi che sia necessaria. Il mio cliente pensava che fosse necessaria”.

  

La giuria si riunisce ora per la sentenza: un solo giurato su dodici è nero. Fuori dal tribunale lunedì c’è stata una manifestazione degli attivisti delle Nuove pantere nere che spingevano una bara con dentro un cadavere finto con i nomi di tutti gli afroamericani uccisi da bianchi. Uno degli attivisti del gruppo (che è considerato violento e antisemita) ha detto di voler armare la propria comunità perché possa legittimamente difendersi. Se il processo dovesse finire con un’assoluzione? “No comment”.
    

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi