La manovra speciale di Biden sul petrolio è snobbata dal cartello guidato da sauditi e russi
Il principe saudita Bin Salman, ignorato per mesi dal presidente americano, ora vuole rovinare il piano degli Stati Uniti per tenere basso il prezzo del greggio
Ieri un cartello di produttori di petrolio guidato da Arabia Saudita e Russia ha mandato una dichiarazione sfacciata di ostilità all’Amministrazione Biden. È una questione economica, ma è anche una questione di inimicizia personale e di cattivi rapporti tra leader mondiali che non riescono a parlarsi. Martedì il governo americano aveva annunciato che tra la metà di dicembre e la fine di aprile avrebbe messo sul mercato cinquanta milioni di barili di greggio conservati nella Riserva strategica per tentare di abbassare il prezzo del greggio sul mercato secondo la legge della domanda e dell’offerta: se c’è molto greggio disponibile sul mercato il prezzo scende, ovviamente. L’Amministrazione Biden aveva chiesto di fare altrettanto a Cina, Corea del sud, India, Giappone e Regno Unito – quindi di attingere alle loro riserve strategiche – e così ha raccolto altri venti milioni di barili di greggio da mettere sul mercato. In totale settanta milioni di barili di greggio – ma potrebbero diventare ottanta – messi a disposizione da una coalizione di paesi che non ha precedenti. Ma ieri, secondo una notizia esclusiva del Wall Street Journal, sauditi e russi hanno deciso di rispondere in opposizione alla manovra americana e “considerano una pausa nella produzione”: questo vuol dire che ci sarà meno greggio sul mercato e quindi il prezzo continuerà a salire. Questo è un problema per il presidente Biden.
In casa deve risolvere il problema dell’inflazione – vicina al record degli ultimi trent’anni – e quindi ha bisogno che il prezzo del carburante non salga. Al presidente americano sarebbe piaciuta una buona notizia economica nei giorni del Ringraziamento.
Quando gli Stati Uniti hanno annunciato che avrebbero attinto alla loro Riserva strategica i mercati però non hanno reagito come sperato: non c’è stato un calo del prezzo, che anzi è aumentato. L’indice Brent è tornato sopra gli ottanta dollari. Gli analisti dicono che il greggio in più promesso dagli Stati Uniti e dagli altri è troppo poco. “This is not a lot of oil”, dice in tv Jeff Currie, capo dell’ufficio studi di Goldman Sachs che segue l’andamento delle commodity. “La quantità totale non è sostanziale”, sostiene Alex Hodes, analista della StoneX Financial: “E’ un rimedio temporaneo, una posa politica”.
Inoltre, come spiega un rapporto di Energy Intelligence, oggi il prezzo del greggio non è il fattore più importante nel determinare il prezzo. Molti analisti tuttavia sostengono che non è la reazione a breve termine a contare di più, ma quello che succederà nei prossimi mesi e che quindi ci sono ancora chance che il piano funzioni.
Intanto però da settimane l’Amministrazione Biden manda inviati a Riad, in Arabia Saudita, per chiedere con discrezione al regno alleato e grandissimo produttore di immettere più greggio sul mercato e di farlo velocemente. Alla fine di ottobre il presidente l’ha anche detto in pubblico: “L’idea che la Russia e l’Arabia Saudita e altri grandi produttori non pomperanno una quantità maggiore di petrolio così la gente potrà usarlo per muoversi e per lavorare non è giusta”. Ma da quando è alla Casa Bianca, Biden non ha mai parlato con il trentaseienne principe erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, sul quale pesa l’accusa di avere ordinato l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. Ha parlato con il padre, il re Salman, ma rifiuta i rapporti diretti il figlio. “C’è molta gente in medio oriente – ha detto Biden un mese fa – che vorrebbe parlare con me, ma non sono sicuro di voler parlare con loro”. Era una frecciata al principe saudita.