Così Bezos disegna il suo futuro da ex ceo (e da ex marito) tra spazio e terra
Dopo aver lasciato i vertici di Amazon, l'imprenditore statunitense si sta muovendo in ogni direzione. Soprattutto con le donazioni filantropiche
Da quando non è più ufficialmente ceo di Amazon, Jeff Bezos si sta muovendo in ogni direzione. Verso l’alto, principalmente, con i razzi della sua Blue Origin che l’hanno portato a un passo dallo spazio. Ma anche verso Washington Dc, dove ha iniziato a tessere una rete di relazioni politico-filantropiche che questa settimana ha portato alla firma di un assegno da cento milioni di dollari per la Obama Foundation. A rendere possibile l’incontro tra l’ex presidente e l’ex ceo è stato Jay Carney, responsabile dei Global Corporate Affairs di Amazon e “sherpa politico di Bezos”, come l’ha definito la rivista Puck; nonché, particolare rilevante, storico portavoce della Casa Bianca obamiana. In cambio dei cento milioni, Bezos ha chiesto (e ottenuto) che una “plaza” del futuro Obama Presidential Center sarà dedicata a John Lewis, politico e attivista scomparso nel 2020. “Non riesco a immaginare una persona migliore di John Lewis per questo dono”, ha commentato lo stesso Bezos, lodando la Obama Foundation per “la sua missione di formare e ispirare i leader di domani”. Il tutto si inserisce in una campagna di donazioni con cui Bezos sta dimostrando la capacità di spesa resa possibile dal dominio di Amazon. Lo scorso settembre, poco dopo essere volato sullo spazio, ha donato un miliardo di dollari al suo Bezos Earth Fund, per un progetto di conservazione ambientale che dal Congo arriva al Sud America. Ed è solo un decimo del programma faranoico annunciato l’anno prima.
Ecco perché le sue mosse filantropiche risultano così spiazzanti: Bezos, del resto, è lo stesso che a inizio mese ha detto pubblicamente che, nel futuro, l’umanità vivrà in “città galleggianti” attorno alla terra. I loro abitanti, i nostri posteri, “nasceranno su queste colonie e vivranno su queste colonie, per poi visitare la terra come noi visiteremmo il Parco nazionale di Yellowstone”. Questa meraviglia della natura nel cuore degli States, fatta di geyser e canyon, per quanto affascinante, non è proprio l’immagine migliore che si possa avere per il futuro del nostro pianeta. Specie se a dipingerla è un miliardario appassionato di Star Trek che non fa tesoro del suo interesse per una vita extraplanetaria.
I dubbi sono maliziosi ma inevitabili. E se Blue Origin fosse, come la SpaceX dell’altro billionaire spaziale Elon Musk, soltanto una prova generale di fuga dal pianeta maledetto? Vista sotto questa luce la recente strategia filantropica del nostro prende contorni più sinistri. Negli ultimi anni Bezos aveva attirato su di sé molte critiche per il suo scarso impegno civile e sociale, a dispetto del suo patrimonio sterminato. Il divorzio da MacKenzie Scott del 2019 non ha fatto che peggiorare le cose, rendendo inevitabile il confronto con l’ex moglie, che ha ottenuto circa 38 miliardi di dollari dalla fine del matrimonio, mostrando subito come si fa a fare beneficenza, donando 4 miliardi di dollari nel 2020 e 2,7 miliardi nel 2021. In pochi mesi Scott ha riscritto le regole e gli standard del “miliardario impegnato”, alzando l’asticella delle donazioni e adottando una strategia veloce ed efficace: vengono scelti gli enti e le associazioni da aiutare e queste ricevono il bonifico, spesso senza preavviso. La Scott, che ha seguito Amazon dalla nascita, ha quindi applicato la filosofia aziendale alla filantropia, creando una specie di Prime per le donazioni. E se tutto questo è possibile per una persona che ha “solo” il 4 per cento delle azioni del gigante, quante cose potrebbe fare il grande capo Bezos, a parte visitare lo spazio?
Lo stiamo scoprendo mese dopo mese da quando Bezos è stato costretto allo scontro: prima i dieci miliardi promessi per il "Fondo per la terra”, poi i 96 milioni per i senza tetto, e infine lo scacco matto obamiano, sperando magari nell’operazione simpatia. Ma soprattutto sperando che la smetta di parlare di città galleggianti, ché non fa un bell’effetto.
L'editoriale dell'elefantino