Putin, il signore delle copertine

Micol Flammini

Il presidente russo cerca di riprendersi la sua importanza internazionale minacciando i confini dell’Ucraina e parlando di nuove linee rosse con la Nato. Cosa ha in testa? Ecco a chi dovete chiederlo

Il nuovo numero della rivista britannica New Statesman ha messo in copertina Vladimir Putin  che afferra il mondo. Lo rigira tra le mani e gli rimane appiccicato tra le dita: lo deforma, ma senza sapere bene che forma dargli, lo trasforma in caos. Qualche settimana fa anche l’Economist aveva messo in copertina il presidente russo, era in bianco e nero, la sua figura sullo sfondo, in primo piano il palmo, gigante, della sua mano. Dal suo bunker, fisico e mentale, nel quale si era rinchiuso durante la pandemia, il capo del Cremlino ha ricominciato a far sentire la sua presenza, soprattutto lungo i confini con l’occidente, e questo l’ha riportato sulle copertine. Le due cover, come tante altre che sono state pubblicate in passato sul capo del Cremlino, hanno in comune una cosa: le mani. Le mani che reprimono, come nel caso dell’Economist che racconta la trasformazione della Russia da autocrazia a dittatura. Le mani che si appropriano, come nel caso del New Statesman, che invece si domanda se il capo del Cremlino stia preparando una guerra contro l’Ucraina. Delle tensioni politiche in Russia si parla sempre meno, Alexei Navalny è ormai in prigione e ci rimarrà ancora per due anni e i suoi collaboratori, senza di lui, non sanno come organizzarsi – anche perché c’è una legge che li definisce estremisti se portano avanti la loro attività politica, al pari dei militanti dello Stato islamico. La repressione del Cremlino sta colpendo con poco rumore, perché ha l’effetto tragico dell’abitudine, ma con molta forza. Ma il Putin che tutti guardano con insistenza è quello che si sporge dai suoi confini: il signore della guerra, che poi finisce in copertina, con le mani che sono sempre pronte a dirigersi verso l’Ucraina.  

 


Sulla copertina del New Statesman Putin deforma il mondo tenendolo tra le mani. Gli si appiccica sulle dita


 

Tentare di indovinare quali siano le intenzioni del presidente russo è un lavoro di vecchia data e poco fruttuoso. E la regola vuole che Putin non faccia mai quello che ti aspetti, non perché sia imprevedibile, anzi spesso è più che prevedibile, ma perché, come ha scritto Mark Galeotti, esperto di intelligence russa, accade che neppure lui, neppure Putin, abbia spesso le idee chiare. Non è un giocatore di scacchi, non pensa a come “vincere in quindici mosse”, ha idee estemporanee, combina cose con le quali a volte non sa neppure lui fino a che punto possa o voglia spingersi. Cercando di intravedere nella mente del presidente russo, una delle domande più insistenti di questi giorni è: Putin invaderà l’Ucraina? 


 

Gli Stati Uniti la scorsa settimana hanno condiviso informazioni di intelligence con gli europei sull’arrivo di truppe russe lungo i confini con l’Ucraina. Un dispiegamento massiccio di truppe in territorio russo, rivolto, minacciosamente, verso Kiev. Se Putin intenda squarciare i confini ucraini non si sa, secondo Galeotti non lo sa neppure lui, ma sta ragionando su cosa fare con l’Ucraina. Sia perché Kiev è una storia antica per la Russia e per lui – facendosi minaccioso verso l’Ucraina Putin guadagna facilmente un po’ dell’influenza persa in questi anni – sia perché tramite l’Ucraina può mandare messaggi forti alla Nato, che ormai è sempre più centrale nei suoi discorsi. L’Ucraina è un territorio attraverso il quale il presidente  russo sta dicendo all’Alleanza atlantica: svecchiati. Non è certo un richiamo macroniano – il presidente francese disse che la Nato è in stato di morte cerebrale – ma un invito piuttosto assertivo a ritratteggiare quelle che sono “le linee rosse” tra Russia e occidente, a favore della prima. 

Questa settimana, Fyodor Lukyanov, direttore del Council on Foreign and Defence Policy e del giornale online Global Affairs patrocinato dal ministero degli Esteri russo, ha scritto su varie testate, inclusa quella che dirige, che cosa potrebbe succedere tra Russia e Ucraina e quali condizioni potrebbero portare a uno scontro.  Tra coloro che provano a rispondere alla domande su che cosa vuole fare Putin, Lukyanov è probabilmente il più titolato a rispondere: è uno degli uomini della politica estera russa. Tutto quello che scrive è visto con gli occhi di Mosca, ma è utile a capire cosa si dice al Cremlino. Lukyanov parte dal fatto che la Russia negli anni Novanta sembrava ormai una potenza sconfitta, la cui futura integrazione in un sistema come quello occidentale veniva quasi data per scontata. La Russia si è ripresa più in fretta di quello che si pensava, e la svolta a occidente di cui lo stesso Putin avrebbe dovuto essere il portatore, non c’è mai stata. I presidenti americani agli inizi della carriera del capo del Cremlino erano molto indulgenti nei suoi riguardi, sembrava l’uomo giusto per superare per sempre la Guerra Fredda e il calcolo si è rivelato confuso e sbagliato. Lukyanov scrive che si è arrivati a uno stallo militarizzato tra Russia e Nato, e la seconda nonostante non abbia una gran fame di missioni pericolose, continua a espandersi, a integrare paesi, a ospitarne altri. La guerra fredda non è finita, dice Lukyanov, si è evoluta, e nell’evoluzione i rapporti tra occidente e Russia sono anche diventati più semplici, severi e diretti. In questo momento la Russia vede anche nuove possibilità in Europa, che non è la Nato, anche se la maggioranza dei suoi paesi membri ne fa parte, ed è indebolita dall’incapacità di esprimere una strategia unificata. Inoltre gli Stati Uniti sono ormai concentrati in Asia, si stanno riorientando e quello che vogliono fare in Europa è soltanto mantenere una posizione e un legame. L’Ue appare uno spazio vuoto agli occhi del Cremlino. La Russia vede tensioni ovunque e Vladimir Putin nelle tensioni vede delle “opportunità”, è una lezione vecchia che il presidente russo ha imparato dalla guerra fredda: lo schema è sempre quello. Ma non è detto che lo schema funzioni ancora e per Mosca la necessità di risolvere la questione della Nato, che “si allarga”, sta diventando sempre più urgente. Questo è il senso delle linee rosse, un nuovo sistema di linguaggio e di segnali da applicare nel rapporto tra Nato e Russia. Il messaggio di Lukyanov è: non ci interessa molto dell’Ucraina, Mosca vuole parlare con te, Nato. 

 

In Ucraina va avanti da sette anni una guerra nella regione orientale del Donbass, è una lenta annessione che la Russia sta portando avanti in modo doloroso ma senza troppo clamore, perché è questo che accade con le guerre lunghe: vengono dimenticate. Ma nel frattempo in un territorio che è Ucraina ma che si definisce separatista, Mosca ha dato la possibilità di ottenere la cittadinanza russa. Il Donbass sta diventando Russia ed è chiaro che l’Ucraina non lo vuole, Kiev vorrebbe che il sostegno da parte di Stati Uniti e Unione europea fosse maggiore e Mosca vuole che si tirino indietro e prefigura uno scenario simile a quello della Georgia nel 2008 quando l’esercito di Tbilisi partì alla riconquista dell’Ossezia del sud e la Russia reagì in un giorno. 


Per Mosca la Nato è ferma agli anni Novanta, quando la Russia sembrava sconfitta e pronta a gettarsi a occidente



Il Cremlino sta cercando di reinventare la sua politica estera, di riscrivere le sue relazioni con la Nato. Lo fa anche perché ha capito tardi che il mondo sta cambiando, ma di queste rivoluzioni rapide non se ne è accorto nessuno in tempo, sono tutti a rincorrere i cambiamenti, anche gli Stati Uniti. Putin ha dato mandato a Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri, di ottenere garanzie di sicurezza da altri paesi e soprattutto di fare pressione su Washington. C’è una battuta che cita spesso Dmitri Trenin, direttore dell’istituto Carnegie di Mosca, e dice: “Chi non ascolta il ministro degli Esteri Lavrov, dovrà ascoltare quello della Difesa Shoigu”. E’ quello che sta accadendo con la politica estera della Russia, E’ quello che porta Vladimir Putin sulle copertine dei giornali internazionali. E forse è anche la risposta a tutte le domande di chi prova a entrare nella testa del presidente russo, a leggergli la mano per capire il futuro delle sue azioni. Cosa farà Putin? Chiedetelo a Shoigu. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)