Il prossimo futuro digitale
La sinistra detesta il crypto, ma così si ritrova sguarnita alla frontiera del Web3
Clinton, Sanders e i democratici rischiano di essere tagliati fuori dalla costruzione del nuovo modello di Internet, per scelta propria, lasciando strada libera a conservatori, anarco-capitalisti, miliardari e libertariani. Dagli Usa al mondo
Alla sinistra non piace il crypto. Non siamo qui per porci domande come: “Il bitcoin è di destra o di sinistra?”, ma per constatare quanto l’atteggiamento scettico e critico, anche per giusti motivi, dei movimenti progressisti nei confronti delle criptovalute stia ledendo la sinistra. E, ancora peggio, stia favorendo l’avvicinamento tra le istanze conservatrici – più o meno radicali – e l’insieme di tecnologie da cui dovrebbe sorgere la nuova frontiera di internet: il “Web3”.
Qualche giorno fa Hillary Clinton, ospite del New Economy Forum organizzato da Bloomberg a New York, ha lanciato moniti su Cina, Russia e le criptovalute. “Quello che sembra uno sforzo esotico e molto interessante (…) ha il potenziale di danneggiare le valute, il ruolo del dollaro e di destabilizzare le nazioni”. Il rischio, secondo l’ex segretario di stato, è che i nuovi strumenti del crypto finiscano “nelle mani sbagliate”. È questa una di quelle rare occasioni in cui la Clinton sembra in linea con le frange più radicali del suo partito. La diffidenza della sinistra per il crypto, infatti, non è una novità: già nel 2016 l’accademico inglese David Golumbia pubblicò un libretto incendiario, “The Politics of Bitcoin: Software as Right-Wing Extremism” (University of Minnesota Press), dove faceva risalire le origini del marasma crypto al cyberlibertarianism. Così come il tradizionale libertarianesimo americano sostiene che il governo non dovrebbe regolare l’economia (o la vita delle persone), la sua variante cyber si riassume in una frase: “I governi non devono regolare internet”.
Se questo è il seme delle criptovalute, i rapporti con la sinistra sembrerebbero compromessi in partenza. Eppure rimane una lettura riduttiva: non bisogna dimenticare che l’invenzione del bitcoin da parte di Satoshi Nakamoto risale al 2008, anno della grande crisi finanziaria. All’epoca una valuta digitale decentralizzata, senza padroni né banche centrali, sembrava la risposta a un sistema capitalistico ormai irrecuperabile. Tre anni dopo, nel pieno delle proteste del movimento anticapitalista Occupy Wall Street, tra gli attivisti e i pionieri del bitcoin sembrava esserci simpatia e rispetto reciproco (Occupy finì per accettare donazioni in bitcoin: chissà quanto valgono oggi).
La divisione si è quindi acuita con gli anni. Mentre bitcoin cresceva a dismisura rendendo milionari improbabili smanettoni fortunati, la community si faceva sempre più potente e protettiva (nonché invidiata). Ben presto avrebbe raggiunto il pubblico mainstream trovando un punto di riferimento in Elon Musk, billionaire già odiatissimo a sinistra in quanto miliardario, ma anche ceo di Tesla, azienda che per un breve periodo ha accettato bitcoin come metodo di pagamento. La liaison tra i “crypto-bros” e i “Tesla-bros” è stata iconicamente perfetta, e offre da tempo alla sinistra occasioni quotidiane di disprezzo.
L’ultimo scontro risale alla scorsa settimana, quando Musk si è scontrato con quello che è forse la sua antitesi online, il politico-totem del Left Twitter e di chiunque veda di malocchio i miliardari: Bernie Sanders. È successo quando il senatore ha twittato l’ennesima presa di posizione per una maggiore tassazione dei ricchi, ricevendo la risposta gelida di Musk: “Continuo a dimenticarmi che esisti”. Polverone. Proprio Musk, lo stesso che aveva contribuito a gonfiare la quotazione di dogecoin, una criptovaluta nata come parodia delle criptovalute, si permetteva di attaccare l’ex candidato democratico.
Intanto, il mondo crypto lavora per costruire un nuovo modello di internet, economia e politica, quello che chiama “Web3”: una rete decentralizzata e libera dai gioghi del vecchio mondo. Dovrebbe essere un’occasione per i movimenti di sinistra, una spinta a contribuire alla sua fondazione, a inseguire questo presunto sol dell’avvenire digitale. E invece rischia di essere lasciata fuori, per scelta propria, lasciando strada libera a conservatori, anarco-capitalisti, miliardari e libertariani.