Arriva la candidatura ufficiale di Zemmour, ma gli alleati scappano

Mauro Zanon

I pesi massimi che si erano raccolti attorno all'intellettuale di estrema destra lo stanno abbandonando. Proprio mentre la corsa per le presidenziali francesi si fa seria, aumentano le critiche di chi denuncia il dilettantismo del suo apparato 

“Ha qualcun altro oltre a dei ragazzini di 25 anni? La politica è una cosa seria”. L’osservazione al vetriolo sull’andamento della campagna di Éric Zemmour, che oggi in un video su YouTube ha ufficializzato la sua candidatura alle presidenziali francesi del 2022, viene da Robert Ménard, sindaco di Béziers in quota sovranista. Ménard, cofondatore di Reporteurs sans frontières, è un amico di lunga data dello scrittore e polemista incendiario, convinto di essere il nuovo Charles de Gaulle (nel filmato dell’annuncio, Zemmour si è messo in scena ricalcando l’appello alla resistenza pronunciato dal generale il 18 giugno 1940).

 

 

Alcune settimane fa, lo ha invitato nella sua città per presentare assieme l’ultimo libro, “La France n’a pas dit son dernier mot”, ma soprattutto per convincerlo ad avvicinarsi a Marine Le Pen, leader del Rassemblement national, e dunque a non disperdere i voti del campo sovranista. Il tentativo di unire la firma storica del Figaro e la figlia di Jean-Marie Le Pen in unico corpo politico, per ora, si sta rivelando un fallimento, ma ciò che in questo momento preoccupa maggiormente Ménard è la debolezza e il dilettantismo del dispositivo zemmouriano, l’assenza di pesi massimi a favore della sua candidatura e la diserzione di alcuni sostenitori della prima ora. A partire da Charles Gave, l’influente banchiere liberal-conservatore che per primo aveva messo mano al portafoglio per aiutare Zemmour con un prestito di 300mila euro. “Ormai è diventato grande. Ora è al 17 per cento nei sondaggi. Non ha più bisogno di me”, ha dichiarato Gave la scorsa settimana, annunciando il suo ritiro, legato anche a questioni ideologiche (il banchiere è favorevole alla Frexit, Zemmour no).

 

Gli ultimi sondaggi, in realtà, lo danno in caduta libera. Secondo la rilevazione dell’istituto Harris Interactive, viaggia infatti attorno al 13 per cento di intenzioni di voto, dietro a Macron, alla Le Pen e persino a Xavier Bertrand, probabile candidato dei gollisti alle presidenziali. Jean-Frédéric Poisson, presidente dell’ex Partito cristiano-democratico, ribattezzato nel 2020 la Via del popolo, era stato l’unico politico di lungo corso, dopo l’estate, ad allinearsi a Zemmour e a dirsi pronto a mettere a disposizione la sua squadra. Ma oggi non sembra più convinto, in ragione della “mancanza di organizzazione e di gerarchia” nella macchina zemmouriana, ma anche dell’assenza di “uomini di esperienza”, come ha spiegato a Clea Caulcutt di Politico Europe. “Ci vuole un equilibrio tra la calma delle vecchie truppe e l’entusiasmo dei giovani”, ha aggiunto Poisson. Equilibrio che in questo momento è fragorosamente assente. Anche all’interno della cerchia ristretta del candidato della destra identitaria, dopo i primi mesi di euforia, iniziano ad emergere le crepe. Diversi attori della precampagna sentiti dal Monde citano all’unisono “un insospettabile ostacolo”. “Non sa comportarsi da capo”, deplora in privato Antoine Diers, portavoce degli Amis d’Éric Zemmour, ossia dell’associazione che si occupa della logistica e dei finanziamenti. Altri insider rimproverano a Zemmour di aver delegato tutto a Sarah Knafo, la sua consigliera e direttrice di campagna (nonché compagna e da cui aspetterebbe un figlio, secondo le rivelazioni del magazine Closer), dall’agenda mediatica alla strutturazione politica. Persino Paul-Marie Coûteaux, l’Alain Minc della destra nazionalista francese, inizia a dubitare delle possibilità di Zemmour e dice un po’ a tutti che forse non ha il physique du rôle. “Éric non ha una naturale maestosità. Il suo corpo non politico è un problema. È privo di distanza, di compunzione, di magnanimità, di quelle vecchie virtù che fanno un principe…Continua a comportarsi come se fosse a CNews”, ha detto al Monde Coûteaux.

 

Zemmour, nel filmato di candidatura, ha affermato che “la Francia non è più la Francia”. Zemmour, invece, è sempre Zemmour, e per molti, anche tra i suoi fedelissimi, non basterà per diventare il prossimo inquilino dell’Eliseo.