Israele chiede di “non cedere al ricatto dell'Iran”
I leader israeliani in questi giorni sono molto espliciti, senza arrivare al punto di litigare in pubblico con l’Amministrazione Biden: per ora c'è una spaccatura discreta
Israele teme che questi negoziati di Vienna tra la comunità internazionale e l’Iran porteranno a un accordo debole, che danneggerà in modo catastrofico la sicurezza nazionale israeliana e quella di altri stati del medio oriente nell’indifferenza della comunità internazionale. Per questo parla sempre di più di un piano militare alternativo ai negoziati, per distruggere i siti atomici e anche la leadership dell’Iran. Il rischio degli incontri di Vienna, scrive Ron Ben-Yishai – uno dei più quotati analisti militari israeliani, sul giornale Yediot Ahronot – è che alla fine del negoziato gli iraniani otterranno l’eliminazione delle sanzioni internazionali e godranno di un flusso sbloccato di miliardi di dollari e in cambio non fermeranno davvero il loro programma atomico. Con le nuove entrate di denaro rafforzeranno tutto il settore che si occupa di nucleare e finanzieranno la loro politica estera aggressiva, fatta di milizie straniere che interferiscono e combattono in tutta la regione. Sul medio termine saranno sempre a un passo dalla bomba nucleare, perché avranno il materiale che serve e i tecnici capaci di assemblarlo in poco tempo. Il tutto senza che gli Stati Uniti, guidati dall’Amministrazione Biden e ormai concentrati con massima priorità su Cina e Russia, si preoccupino più di tanto – come hanno fatto quando hanno consegnato ai talebani l’Afghanistan.
Israele è consapevole che non ci sono più le condizioni del luglio 2015, quando fu raggiunto il primo accordo fra Stati Uniti e Iran. Oggi fermare l’arricchimento dell’uranio per produrre una bomba atomica da parte dei tecnici iraniani non è più la questione centrale, perché l’Iran è già troppo vicino ad avere la quantità necessaria e raffinata al punto giusto per produrre la bomba atomica. Allora l’idea era tenere l’Iran ad almeno un anno di distanza dalla Bomba, oggi i rapporti dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica dicono che potrebbe produrre l’uranio sufficiente nel giro di un mese e i negoziati sono destinati a durare molto di più, quindi questa volta per quel che riguarda l’arricchimento dell’uranio i negoziatori di Vienna sono già sorpassati in partenza dalla realtà. Ci sono altre fasi che separano l’Iran dal diventare una potenza atomica. Una è la costruzione di vettori missilistici in grado di portare la bomba atomica sul bersaglio. Un’altra è la volontà politica di costruire un’arma atomica.
I leader israeliani in questi giorni sono molto espliciti, senza arrivare al punto di litigare in pubblico con l’Amministrazione Biden. Ieri il Primo ministro di Israele, Naftali Bennett, ha diffuso una dichiarazione video nella quale chiede alle potenze del mondo “di non cedere al ricatto dell’Iran”. Una settimana fa durante un discorso alla Reichman University ha detto: “Se ci sarà un nuovo accordo con l’Iran, Israele non sarà parte di quell’accordo e non si sentirà vincolato da esso” – che è un modo per dire che se le condizioni dell’accordo non garantiranno abbastanza la sicurezza di Israele allora Israele farà come se quell’accordo non esistesse. Il ministro della Difesa, Benjamin Gantz, ha fatto una lunga presentazione pubblica di un rapporto che spiega come la mancanza di deterrenza e di reazioni contro l’Iran incoraggia le aggressioni iraniane o delle milizie filoiraniane a base di droni e di attacchi suicidi contro gli avversari regionali dell’Iran. Il messaggio è: le concessioni non funzionano, l’Iran si ferma quando incontra resistenza. Secondo Ben-Yishai, la settimana scorsa è stata “drammatica” tra Israele e gli Stati Uniti, anche se per adesso sul piano riservato, perché Biden teme di essere trascinato in un conflitto in una regione dalla quale vorrebbe invece sganciarsi a causa di un’operazione israeliana o comunque di un’escalation militare e Bennett teme che gli americani a Vienna chiudano un accordo debole e sbilanciato a favore dell’Iran.
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