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La playlist dei saluti di Merkel e i colori di Nina
Le vite parallele della cancelliera e della Hagen e la canzone contro il grigio delle dittature
Angela Merkel ha scelto la sua playlist per la cerimonia di saluto con cui oggi si accomiata dalla cancelleria tedesca, dopo sedici anni. Ha deciso di aggiungere a “Grosser Gott, wir loben Dich” (Dio santo, lodiamo il tuo nome), inno cristiano del XVIII secolo in sintonia con la rappresentazione della figlia di un pastore protestante, e alla romantica ballatona “Für mich soll’s rote Rosen regnen” (Dovrebbero piovere rose rosse per me) della bionda Hildegard Knef, che parla educatamente di sogni giovanili e di voglia di anticonformismo, il pezzo col quale Nina Hagen si rivelò ai giovani inquieti delle due Germanie nel 1974, “Du hast den Farbfilm vergessen” (Hai dimenticato la pellicola a colori). E alcuni hanno detto: che scelta scandalosa. Invece no, c’è molto della leadership della Merkel in Nina, che può ben essere considerata la faccia nascosta, il modello segreto di una ragazza sveglia, appassionata ma composta come Angela, a cui dovevano sembrare irresistibili le sortite canterine provocatorie della Hagen, con quella voce volutamente sguaiata.
Praticamente le due ragazze erano coetanee – del 1954 Angela, del 1955 Nina – entrambe erano cresciute nella bizzarra società della Germania dell’est, dove la Hagen era subito divenuta l’incarnazione dello spirito dissidente e della voglia di rottura. A vent’anni Nina viene espatriata nella Germania dell’ovest, al seguito del patrigno, Wolf Biermann, popolarissimo chansonnier, intellettuale non allineato, avviandosi poi a coltivare il suo sogno rock nella Londra punk del tempo, entrando nel giro dei Sex Pistol e di Vivienne Westwood e incontrando il successo internazionale come icona del ruvido femminismo anticonvenzionale sbocciato nel cuore d’una nazione repressa. Ma un paio d’anni prima, a soli 17 anni, Nina, era già diventata qualcuno in patria proprio con la canzoncina cui oggi la Merkel attribuisce un omaggio rappresentativo. In puro stile schlager, rumoroso, vaudeville e camp, “Du hast den Farbfilm vergessen” racconta la rabbiosa protesta di una ragazza verso Micha, il fidanzato, che, partendo per le vacanze, ha portato con sé solo delle pellicole in bianco e nero. Così lei non potrà mostrare la meraviglia dell’isola di Hiddensee che stanno visitando e nessuno crederà ai suoi racconti su come siano belle le cose là fuori.
Il pezzo scivolò tra le maglie della censura di stato della Ddr, ma ai ragazzi dell’epoca non sfuggì la satira nei confronti del grigiore sociale dattorno. Materiali sensibili nella formazione di un animo deciso a sposare la vocazione speculativa all’ostinazione nel conseguimento degli obbiettivi. E oggi, a fine corsa, un sacrosanto descrivere il suo “come eravamo” e uno sguardo d’affetto per coloro che vissero con lei la stessa esperienza di liberazione.
L'editoriale dell'elefantino