La Riconquista di Zemmour pare efficace, ma il sospetto è che sia in ritardo
La Francia vive all’insegna della diversité, con il passo tranquillo della fashion. In concreto, le parole d'ordine del polemista assomigliano più al verso di una chanson di Charles Trenet che a un vero programma di governo. Chissà
Il sospetto è che Zed ossia Zemmour sia arrivato tardi, ma non fosse così il suo appuntamento con la storia darebbe filo da torcere a tutti. Quei quindicimila molto giovani ed entusiasti riuniti a Villepinte, in mezzo agli arabi di Francia, per celebrare la Riconquista, il nome del suo raggruppamento, in un tripudio tricolore, che impressione, mamma mia. Che botto. Per essere il solito fascista francese, come lo vuole Bernard-Henri Lévy, Zed nel suo esordio ha mostrato in un’ora e venti di discorso rara capacità di sintesi, di immaginazione, di turbolenza oratoria nel segno della malinconia, della disperazione e della speranza. Con molti libri alle spalle e senza moschetto (al massimo i suoi hanno preso a sediate gli importuni disturbatori di Sos Racisme), era purtuttavia un fascista perfetto o così appariva nel suo nazionalismo primitivo, infantile, nostalgico, dal suo punto di vista efficacissimo. Però potrebbe essere arrivato appunto tardi, e senza l’appello del 18 giugno e la Seconda guerra mondiale alle spalle.
Più parlava, uomo del destino, della sua Francia da salvare e riconquistare a cannonate, più si capiva dove stava lui, ma non dove sta il suo paese feticcio. I francesi come lui li vuole e dipinge sono una maggioranza potenziale rivolta verso il futuro radioso, ancorata in un presente di orgoglio e fierezza dell’impossibile (“Impossibile non è francese”, ha detto citando addirittura l’Empereur cioè Napoleone)? O sono una minoranza d’opinione e attivistica radicata nella rabbia securitaria, nella frustrazione economica e sociale, nella derelizione culturale periferica? In America si è visto che i margini della retorica declinista sono piuttosto ampi, ma lì la diversity è un revulsivo, una radicalizzazione di ogni giorno verso e contro la quale si possono eccitare i fantasmi dell’America first sotto le mentite spoglie della memoria hillbilly e della disperazione da oppiacei. In Francia, basta guardare le pubblicità che trapuntano i discorsi politici presidenziali, tra neri e mulatti e gay e musulmani, prima di arrivare alla famigliola bianca occidentale devi passare un panorama multicolore e multiculti che fa ideologia e moda, la diversité ha il passo tranquillo della fashion. E la grande Joséphine Baker riposa al Panthéon dove l’astuto Macron le ha rimboccato la coperta tra i grands hommes che ricevono l’omaggio della Patria riconoscente, a partire da Voltaire e Rousseau.
Chissà. Zed indossava occhialini molto presidenziali, completo blu e cravatta in tinta, un fisico del ruolo non trascurabile, il suo bagno di folla è stato l’evocazione accesa, in una bella lingua, di una cosa, la Francia come lui la intende, che probabilmente non esiste più se non nel ricordo, nella letteratura memorialistica, nella storiografia franco-francese, nella musica degli chansonnier. Il programma è il solito della circostanza: via i clandestini, immigrazione zero, niente rimpiazzo etnico, lo stato badi ai cittadini francesi, i francesi innanzitutto nella sicurezza e nello status prioritario, taglio delle tasse per le piccole imprese, trasmissione severa del sapere a scuola, con merito e mobilità sociale conquistata contro il pedagogismo floscio della gauche, e io non sono fascista, sono libertario semmai, non sono misogino, perché voglio proteggere le donne dalla minaccia del velo e delle botte islamiche.
Non sono razzista, sono un piccolo ebreo berbero arrivato dall’altra parte del Mediterraneo e assimilato con onore e fierezza, come devono fare quelli che vogliono la nazionalità di questo paese. Eccetera. Zemmour non sembrava smarrito di fronte alla complessità della situazione, tuttavia, ha trattato le destre repubblicane e Macron con toni strafottenti, il presidente è un adolescente che non ha ancora deciso cosa farà da grande, si è tolto degli sfizi mica male nella polemica con il nemico di sinistra e Marine Le Pen. Però alla fine il succo della Riconquista è non troppo dissimile da Charles Trenet, “douce France, cher pays de mon enfance” (1963), che non è poco, via, ma potrebbe non essere abbastanza.