Il summit tra Biden e Putin e i timori di uno scenario afghano in Ucraina

Micol Flammini

Durante il video incontro il presidente americano ha minacciato la Russia di nuove sanzioni, ma non è bastato a calmare Kiev. Il capo del Cremlino ha voglia di una nuova Yalta

Vladimir Putin aveva pochi fogli sul suo tavolo, pochissimi appunti durante il  video incontro  riservato con Joe Biden. Tutto era molto ordinato. I giornalisti di Ria Novosti che si occupano del Cremlino hanno notato che doveva essere un segnale importante: i due presidenti sapevano già di cosa parlare, conoscevano già tutte le opzioni, per Putin non erano quindi necessarie troppe carte davanti agli occhi. Joe Biden, chiuso nella situation room, aveva tra i due il compito più arduo: essere duro, far capire che un’invasione dell’Ucraina non sarà tollerata dalla Nato e da Washington, ma nello stesso tempo non aumentare la tensione. Anche per Putin il compito non era semplice, per la Russia i costi di una guerra in Ucraina sarebbero ingenti, se a questi si aggiungono anche le sanzioni che i paesi europei e gli Stati Uniti minacciano di imporre sarebbero insostenibili. Ma per il presidente russo era necessario mostrare a Biden che la Russia è disposta a sostenerli. Tutti e due dovevano fare un passo indietro senza che l’altro se ne accorgesse e il summit infatti è durato due ore. Vladimir Putin ha scelto il momento perfetto per imporre la questione ucraina agli Stati Uniti e all’Unione europea. Sa che Washington ha nuove priorità, ha gli occhi rivolti  alla Cina, e quindi secondo il Cremlino è più propenso a raggiungere accordi sull’Ucraina, impensabili prima. E poi c’è stata la lezione afghana: Biden ha dimostrato che è in grado di abbandonare un paese se non è più il teatro degli interessi degli Stati Uniti. Per il Cremlino questo potrebbe essere il momento giusto per un passo simile anche nei confronti di Kiev. 

 

Se l’Ucraina sia ancora nei pensieri di Biden se lo domandano gli stessi ucraini (soprattutto dopo la notizia arrivata ieri che nella bozza  finale del bilancio della Difesa degli Stati Uniti non ci sono nuove sanzioni sul gasdotto Nord Stream 2), ma quello che gli Stati Uniti non possono permettersi è un conflitto alle porte dell’Ue. Infatti Biden è stato chiaro nel sottolineare che in caso di invasione gli Stati Uniti e i loro alleati “risponderebbero con forti misure economiche e di altro tipo”. Dopo il summit con Putin, Biden ha contattato anche i leader di Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia, con i quali aveva discusso la possibilità di nuove sanzioni anche la sera prima. Sul tavolo ci sono  restrizioni sul rublo, sul debito sovrano russo e su alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del paese. Il New York Times ha scritto  che è in discussione anche l’esclusione della Russia dal sistema di pagamento Swift. Gira voce di un prossimo vertice tra i due che dovrebbe tenersi di persona, Biden ha detto di essere dispiaciuto di non aver incontrato Putin al G20, si è augurato che il prossimo summit possa tenersi non da remoto. Putin ha accennato un sorriso. Durante il colloquio hanno parlato anche di ransomware e di questioni regionali come l’Iran.

 

La Russia sull’Ucraina non è intenzionata a cedere, è una leva che  Putin  ha utilizzato a suo vantaggio e adesso pretende di avere rassicurazioni contro la  Nato, vuole un passo indietro che gli Stati Uniti non sono disposti a fare e gli alleati europei neppure. Rinunciare all’Ucraina, come chiede Putin, per la Nato sarebbe rischioso, uno spot pessimo. Il Cremlino vuole che Kiev diventi un affare domestico,  vuole che gli Stati Uniti rinuncino a proteggere Kiev, capiscano, proprio come in Afghanistan, che intestarsi la questione ucraina ha poco senso. Putin parla con gli Stati Uniti perché è con loro che vuole discutere la nuova stabilità strategica. Vuole mettere le basi per una nuova Yalta, ma alle sue condizioni. La prima: non toccare il Nord Stream 2. La seconda: continuare a non vedere gli scontri nel Donbass che ieri hanno avuto  un nuovo picco di tensioni. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)