Valérie Pécresse, l'outsider gollista
Nessuno se l’aspettava, ma la presidente dell’Ile-de-France ha vinto le primarie dei Républicains. Liberale, europeista, “femminista ma non wokista”, ora fa tremare la destra estrema e pure Macron
Nessuno l’aveva vista arrivare. Le origini giuste, la famiglia giusta, le scuole giuste, un percorso politico impeccabile, l’infanzia a Neuilly-sur-Seine e il look da borghese di Versailles, insomma troppo perfetta per piacere alla maggioranza degli elettori gollisti. Ne era convinto persino Emmanuel Macron che già pregustava un Xavier Bertrand o un Michel Barnier, due concorrenti facili, pressoché innocui per la corsa all’Eliseo. E invece Valérie Pécresse, 54 anni, ex pupilla di Jacques Chirac e attuale presidente dell’Île-de-France, la regione di Parigi, li ha messi tutti alle spalle, ha stravinto le primarie dei Républicains (Lr) ed è diventata la prima donna della storia del gollismo candidata alla più alta carica della République. “Per la prima volta, il partito di De Gaulle, Pompidou, Chirac e Sarkozy ha una donna candidata alle elezioni presidenziali. Il mio pensiero va a tutte le donne di Francia”, ha dichiarato con orgoglio sabato scorso, dopo aver sconfitto al ballottaggio Éric Ciotti, esponente dell’ala conservatrice di Lr.
Se li ricorda tutti, Valérie, quelli che la chiamavano “la blonde” con un ghigno di disprezzo quando era ministra dell’Università e in seguito del Bilancio durante il quinquennio Sarkozy, quelli che la apostrofavano “Madame serre-tête et jupe plissé”, signora cerchietto e gonna a pieghe, quei cacicchi dell’Ump (vecchio nome dei Républicains) che la trattavano come una segretaria, adatta a portare il caffè e al massimo a fare qualche fotocopia. A partire da Dominique de Villepin. “Lei non farà mai politica, perché è una donna normale: ha un marito e dei figli. In politica, non esistono donne normali, ci sono solo donne nevrotiche!”, le disse l’ex ministro degli Esteri di Chirac. Si sbagliava. La sottovalutava. Come hanno fatto i suoi rivali alle primarie Lr, in primis Xavier Bertrand, il presidente della regione Hauts-de-France ed ex ministro del Lavoro di Sarkozy, che in estate l’aveva chiamata al telefono per invitarla a ritirare la sua candidatura e a sostenerlo. “A settembre, distanzierò tutti nei sondaggi, vedrai”, le assicurò Bertrand. “Anch’io ho il mio orgoglio, Xavier. E ho delle cose da dire”, rispose Pécresse.
Aveva ragione lei. E ora nella macronia inizia a trapelare una certa preoccupazione per l’ascesa dell’outsider gollista, soprattutto dopo gli ultimi sondaggi. Secondo l’inchiesta dell’istituto Elabe, la candidata Lr all’Eliseo, infatti, non solo si qualificherebbe al ballottaggio se le elezioni si svolgessero oggi (20 per cento di intenzioni di voto), ma in un’ipotetica finale contro l’attuale capo dello stato sarebbe lei a spuntarla, 52 contro 48. La preoccupazione è fondata non solo alla luce delle rilevazioni demoscopiche, ma anche perché tra tutti gli avversari è quella che assomiglia di più a Macron, e che dunque potrebbe rubargli parte dell’elettorato, attraendo, come ha fatto in regione, il MoDem, Agir e tutto quel centro-destra Macron-compatibile.
Come l’ex candidato di En Marche!, Pécresse è liberale ed europeista, ha una visione pro business e conosce bene l’ecosistema delle start-up (nel gennaio del 2018, disse che voleva trasformare l’Île-de-France in una “start-up région”, così come Macron voleva trasformare il paese in una “start-up nation”), crede molto nella meritocrazia repubblicana e nella Francia come progetto di emancipazione degli individui. La loro compatibilità è talmente evidente da aver convinto alcuni osservatori che Valérie accetterebbe di buon grado di andare a Matignon, come primo ministro del Macron II. Ma ancora una volta, si sottovalutano le ambizioni dell’ex chiracchiana, secondo l’editorialista del Monde Françoise Fressoz. Apertamente convertita al fillonismo, dopo aver sostenuto per alcuni mesi Alain Juppé alle primarie del 2016 (per questo motivo la chiamano anche “Valérie Traîtresse”, ossia Valérie la traditrice), la candidata gollista all’Eliseo si è data come missione quella di sloggiare il progressismo macronista dalla Francia, rimettendo insieme i cocci di una destra che si è sentita derubata nel 2017, quando François Fillon era il gran favorito, prima di essere travolto da uno scandalo familista. I suoi detrattori, anche all’interno dei Républicains, dicono che è una “Macron in gonnella” o al massimo una “Juppé al femminile”. Lei, in risposta alle malelingue, spiega che a differenza di Macron i conti pubblici li sa gestire, che la sua volontà è quella di riassorbire il debito e non di continuare a spendere e spandere prosciugando le finanze (a tutti, continua a ripetere che Macron ha “cramé la caisse”, ha bruciato le casse dello stato), e che in caso di vittoria una delle prime misure sarà lo snellimento della funzione pubblica (via 200 mila funzionari).
Sulle questioni di società, Pécresse fino al 2012, era certamente più conservatrice di Macron: era infatti in prima fila ai tempi della Manif pour tous, il movimento di protesta contro il matrimonio e le adozioni gay consentiti dalla legge Taubira, dal nome dell’allora ministra della Giustizia di François Hollande. Ma le sue posizioni, nel corso degli ultimi anni, sono profondamente cambiate. Oggi, non ci pensa nemmeno per un istante a mettere in discussione quel testo, e lo scorso settembre, sollecitata sulla Pma per tutte (Procreazione medicalmente assistita) introdotta dalla recente loi bioéthique, ha detto che se fosse stata deputata avrebbe votato a favore. Si definisce “femminista, ma non wokista” e, a detta di molti, avrebbe fatto più lei per i diritti Lgbt che il suo predecessore socialista in Île-de-France, Jean-Paul Huchon: soprattutto in termini di sovvenzioni. Rinnega il suo passato di conservatrice pro Manif pour tous Madame Pécresse? “No, ho cambiato idea, perché semplicemente ho riflettuto”, risponde a chi la accusa di essere ormai diventata una Anne Hidalgo con i capelli biondi, un’infiltrata di sinistra nella destra che fu di Sarkozy. Quest’ultimo, pur affidandole in piena burrasca finanziaria un ministero pesante come quello del Bilancio (siamo nel 2011), non era un grande estimatore della bébé Chirac: è troppo tecnocrate, troppo algida, diceva ai suoi fedelissimi, lui che preferiva mostrarsi accanto a Rachida Dati, la mediterranea del governo dell’ouverture, o in alternativa con Rama Yade, la figlia della diversité di origini senegalesi (il padre era il braccio destro del presidente del Senegal e poeta Leopold Sédar Senghor). Sarkò, tuttavia, riconosceva a Valérie la grande determinazione con cui portava i dossier fino in fondo: come quello dell’autonomia delle università, una delle riforme emblematiche del quinquennio. E oggi, quando le chiedono cosa ne pensa della sua ex ministra, la definisce “estremamente solida”.
“E’ una costruttrice, è una donna concreta”, spiega Geoffroy Didier, eurodeputato Lr e vice presidente dell’Île-de-France, secondo cui Pécresse “sta dando prova di un’energia chiracchiana e di un’autorità sarzkoysta”. “E’ più germanica che latina, più nella gestione che nella creazione”, precisa un ex ministro. Ed è lei stessa a confermarlo. Perché se il suo mentore si chiama Jacques Chirac, il suo modello è invece Angela Merkel: per la tenacia con cui “ha concretizzato le riforme” in Germania, l’energia con cui “ha difeso gli interessi del suo popolo”, e la risolutezza con cui ha reso il suo paese “più forte e più ricco”. “Vuole essere la Merkel à la française”, scrive l’editorialista della Tribune Marc Endeweld, riunendo una grosse koalition “tutti tranne Macron”. “L’obiettivo delle prossime settimane è affermarsi come l’unica candidata della (vera) destra, per insediarsi tra Zemmour e Macron, rivolgendosi allo stesso tempo a tutti i francesi, compresi quelli di centro e di centro-sinistra”, spiega Endeweld.
Merkel ispira Pécresse anche nel modo di vestire, con i suoi tailleur color pastello e il pantalone rassicurante. Sabato scorso, al quartier generale dei Républicains, si è presentata con un tailleur rosso vermiglio, mandando baci a mo’ di attrice ai militanti riuniti per acclamarla. “Ci si sorprende che abbia vinto, nonostante sia stata eletta per due volte consecutive al vertice dell’Île-de-France, una delle più grandi regioni d’Europa! Quelli che la immaginavano a Matignon e le consigliavano di siglare un ticket con Bertrand o Barnier si sentiranno assai sciocchi oggi”, ha dichiarato Florence Portelli, la sua fedele portavoce di origini italiane. “Ha una mentalità d’acciaio. E’ il cane che tiene il suo osso fra i denti e non lo molla. I suoi avversari minimizzano questa sua qualità”, ha aggiunto il direttore della sua campagna, Patrick Stefanini, soprannominato “il mago delle campagne elettorali”, il talismano dietro le vittorie della liberale versagliese (Stefanini diresse le campagne di Chirac alle presidenziali del 1995 e del 2002, entrambe vinte).
Pécresse ha anche un altro modello di riferimento: l’ex primo ministro britannico, Margaret Thatcher, per il suo “coraggio” e la sua “fermezza”. E c’è una frase che ormai è diventata cult. “Per due terzi sono Angela Merkel, per un terzo sono Margaret Thatcher”, ha dichiarato quest’estate al settimanale Le Point. Oltremanica, la chiamano già “French Thatcher”. “Se l’idea è quella di dire che sono una donna dal polso fermo, rispondo sì, lo sono! Che mi interesso alle classi medie, certo, lo sono. O che rimetto in ordine le finanze pubbliche? Assolutamente, e ne sono fiera. Ma per quanto riguarda il modo di esercitare il potere, il mio modello resta Angela Merkel, perché riesce ad andare oltre le divisioni politiche, come ho fatto io nella mia regione, che è sociologicamente di sinistra, su temi di primo piano come la carta della laicità e la sicurezza”, afferma.
Per il settimanale Obs, quella di Valérie Pécresse è “la rivincita di una tigre”, di una ragazza brillante che ha iniziato in sordina come consigliera per le nuove tecnologie di Chirac, prima di diventare deputata del dipartimento delle Yvelines in quota Ump, ministra con due portafogli diversi nel quinquennio di Sarkozy, e infine regina dell’Île-de-France (Pécresse chiama la regione che guida “una piccola Francia di dodici milioni di abitanti”). Ma ha fatto molto altro prima di essere eletta portabandiera dei gollisti per le presidenziali 2022, comprese alcune esperienze che alcuni non si aspetterebbero da una versagliese. Figlia di Dominique Roux, ex presidente di Bolloré Telecom, e di Catherine Bertagna, di origine corse, Valérie, a 15 anni, ha partecipato a un campo estivo per i giovani comunisti organizzato dal Komsomol, a Yalta, durante il quale ha imparato il russo. Il giapponese, invece, lo ha studiato durante un soggiorno a Tokyo, dove si manteneva vendendo liquori e videocamere.
Durante uno stage ai tempi dell’Hec, la grande école da cui è uscita diplomata in economia, ha lavorato in una fabbrica di William Saurin, azienda leader nei piatti pronti, mettendo nelle scatole di latta choucroute e salsicce. Dopo essere uscita dall’Ena seconda in graduatoria (promozione Condorcet 1990-1992), è entrata nel Consiglio di stato e ha insegnato fino al 1998 Diritto costituzionale a Sciences Po. E se le chiedi di dirti qual è la figura più importante della sua infanzia, ti risponde Louis Bertagna, il nonno materno. Celebre psichiatra e grande figura della Resistenza di confessione cattolica (ospitò nel suo appartamento la redazione di Témoignage Chrétien, che usciva clandestinamente durante l’Occupazione), Louis Bertagna curò l’anoressia di una delle figlie di Chirac, Laurence, e fu uno dei pionieri nel trattamento della depressione. “E’ stato uno dei primi a prescrivere gli antidepressivi per curare i pazienti. Accanto a lui, ho imparato che tutti possiamo avere delle debolezze, ma che si può uscire dalla depressione, che ci si può sempre rilanciare nella vita e non bisogna mai abbandonare nessuno”, dice Valérie ricordando il nonno. Lei vuole conquistare la Francia come ha conquistato l’Île-de-France, e ha le carte in regola per farlo. Anche perché, come dice a tutti, “è arrivato il tempo delle donne”.
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