Taiwan dà lezioni di democrazia e va al voto con un referendum (anche sul maiale cinese)
Sabato i cittadini taiwanesi andranno alle urne per votare su quattro quesiti di iniziativa popolare. Quattro quesiti diversi e una lezione di partecipazione alla vita pubblica
Un paese isolato diplomaticamente, che una potenza autoritaria rivendica come proprio territorio e vorrebbe inglobare nel suo sistema a partito unico, si prepara ad andare a votare. E’ l’ennesima lezione di democrazia e di partecipazione alla vita pubblica che arriva da Taiwan.
Sabato i cittadini taiwanesi andranno alle urne per votare su quattro quesiti di iniziativa popolare. Come in ogni altro sistema democratico, il referendum di domani è anche una prova per il partito di governo, il Partito democratico guidato da Tsai Ing-wen, e un possibile test sull’opposizione del partito nazionalista Kuomintang, che ha proposto i quattro quesiti. Proprio le ultime ore di campagna elettorale, durante le quali i membri dei due principali partiti hanno fatto comizi e organizzato incontri con gli elettori per spiegare le diverse posizioni, sono l’esempio più evidente del fatto che il sistema democratico è ormai un segno distintivo dell’isola di Taiwan. Per un cittadino taiwanese, abituato a esprimere il proprio dissenso anche nell’urna elettorale, neanche il “modello Hong Kong” – un paese, due sistemi – è una strada praticabile.
E’ stato il partito di Tsai Ing-wen a costruire sin dal 2016 questa identità dei taiwanesi, quella che oggi spaventa di più i funzionari della Repubblica popolare cinese che soffiano ancora sul fuoco della riunificazione. Un anno dopo il suo insediamento, è stata lei il volto di una riforma della legge sui referendum che ha reso la democrazia più vivace, un “momento storico”, come lo definì lei, per un paese che ha vissuto nell’autoritarismo della legge marziale fino al 1987. La legge sui referendum era stata introdotta nel 2003, ma era praticamente impossibile per i cittadini proporre quesiti. Con la riforma del 2017 è cambiato tutto: adesso è sufficiente la raccolta delle firme dell’1,5 per cento degli aventi diritto di voto per proporre un referendum e organizzare le votazioni (una volta ogni due anni). Perché un referendum passi, non serve più il 50 per cento dei voti ma basta il 25 per cento. Sono però più o meno l’equivalente dei referendum consultivi, e il governo di Taipei è obbligato a dare una risposta in base ai risultati del voto, ma non è obbligato a seguirli. E’ successo nel 2018, quando tra i dieci quesiti c’era anche quello sul matrimonio omosessuale, e la maggioranza dei votanti si era espressa in modo contrario. Il governo Tsai era andato comunque avanti, e aveva approvato la legge. Taiwan era diventato il primo paese asiatico ad approvare il matrimonio omosessuale.
I quattro quesiti del referendum di domani, a cui il governo Tsai si oppone, riguardano questioni diverse. Il primo, proposto da un gruppo pro-nucleare, vorrebbe riattivare la costruzione dell’impianto atomico sulla costa nord-est di Taiwan. Il Partito democratico sostiene il no perché, sin dalla campagna elettorale, aveva promesso una transizione energetica che facesse a meno di nuove centrali atomiche. Il secondo quesito riguarda la società petrolifera statale CPC Corporation, che ha iniziato la costruzione di un terzo terminale di gas naturale sulla costa nord-ovest, dove però è presente una barriera corallina. I gruppi ambientalisti chiedono di spostare l’impianto, ma il governo dice che occorrerebbero tredici anni per farlo: troppo. Il terzo quesito vorrebbe vietare l’importazione di carne di maiale che contiene ractopamina, un farmaco utilizzato anche come additivo per mangimi vietato in molti paesi, comprese l’Ue e la Cina, ma usata negli Stati Uniti. Dopo aver firmato un accordo di libero scambio con Washington, il governo di Taipei è stato costretto ad autorizzarne il consumo, e ora dice: se lo vietiamo, saremo costretti a comprare la carne dalla Cina. Il quarto e ultimo quesito è proprio sui referendum: “Sei d’accordo sul fatto che il referendum debba essere tenuto in concomitanza con un’elezione nazionale?”. Secondo il Kuomintang, che ha proposto il quesito, questo farebbe risparmiare tempo e denaro alla Pubblica amministrazione, ma il Partito democratico si oppone: i dieci quesiti del 2018 hanno dimostrato sufficiente confusione per gli elettori. Insomma, tutte le democrazie si somigliano, anche se Taiwan continua a essere l’eccezione.
L'editoriale del direttore