Scordatelo Naftali
Dopo un breve periodo felice, ora Bennett e Biden sono tesi. Gli iraniani stanno vincendo
Molta frustrazione tra il primo ministro israeliano e il presidente americano: “Non fermate le nostre operazioni contro l’Iran"
L’Amministrazione di Joe Biden non dice “fuck you” al primo ministro israeliano Naftali Bennett, come ha fatto il predecessore Trump con il predecessore Netanyahu, per una questione di stile e di indole. Le due parti non vogliono tornare ai litigi pubblici come ai tempi di Netanyahu e Barack Obama. Ma c’è molta frustrazione da parte di entrambi e c’è un conflitto in corso – non pubblico, almeno per ora – su come gestire il dossier più importante e urgente, quello del nucleare iraniano. Biden vorrebbe risolvere la questione in modo soft con i negoziati di Vienna che portano verso la restaurazione dell’accordo sul nucleare del luglio 2015. Bennett teme che gli stessi negoziati siano troppo deboli per ottenere una sospensione reale del programma atomico dell’Iran e continua a far trapelare informazioni sui preparativi israeliani per possibili raid aerei contro l’Iran.
Bennett teme anche che gli americani dopo aver raggiunto un accordo troppo debole con Teheran chiederanno a Israele di interrompere le operazioni di sabotaggio dell’intelligence israeliana – che in questi mesi ha colpito più volte i siti dove gli iraniani lavorano al programma nucleare. Anzi, Bennett, secondo il New York Times, teme che gli Stati Uniti una volta rientrati nell’accordo ostacoleranno attivamente le operazioni di Israele contro il nucleare iraniano. Per questo chiede che l’intelligence israeliana possa continuare a colpire l’Iran, come sta facendo da anni, anche se le trattative ufficiali prima o poi arrivassero a qualche risultato.
Alla base del conflitto c’è una interpretazione diversa di quello che starebbe facendo l’Iran, ed è una differenza radicale e insanabile. Secondo gli Stati Uniti, Teheran avrebbe congelato il programma atomico militare da molti anni; secondo Israele il programma atomico militare non si è mai fermato. Ieri la delegazione iraniana ha annunciato che si prende una pausa di qualche giorno dai negoziati di Vienna, che erano appena ricominciati alla fine di novembre dopo una pausa di sei mesi. Nel frattempo però l’Iran continua ad arricchire l’uranio e quindi è sempre più vicino alla quantità di uranio raffinato necessaria a produrre una bomba atomica. Secondo i calcoli degli esperti delle Nazioni Unite, questo tempo potrebbe essere inferiore a un mese nell’ipotesi peggiore. Israele vede questi incontri viennesi a rilento come un grande pretesto da parte dell’Iran per trascinare a vuoto la diplomazia internazionale mentre in casa, nei bunker sotterranei dove gli ispettori internazionali non possono entrare e non possono controllare nulla perché ancora non c’è un accordo, il programma atomico corre veloce.
All’inizio del mandato di Biden c’è stato un periodo di collaborazione felice fra Israele e Stati Uniti e ci sono ancora prove tecniche di trasparenza. Gli israeliani hanno informato gli americani di due operazioni di sabotaggio con esplosivi contro l’Iran, una a giugno contro la fabbrica di centrifughe per l’uranio a Karaj e l’altra il 27 settembre contro un sito di ricerca missilistica dei pasdaran (di quest’ultima operazione si è appreso soltanto venerdì 10 dicembre, non era ancora diventata una notizia). Dopo una telefonata tesa con Biden, Bennett ha spedito a Washington il ministro della Difesa, Benny Gantz, e il capo del Mossad, David Barnea, ma non ha ottenuto rassicurazioni.
Pochi giorni dopo è diventata pubblica la notizia che la consegna da parte degli Stati Uniti di alcuni aerei speciali per il rifornimento in volo dei caccia – quindi aerei che permettono missioni a lungo raggio come sarebbero i raid israeliani contro l’Iran – avverrà soltanto nel 2024 e non invece adesso come Israele vorrebbe. E ieri al Senato americano la legge che stanzia i fondi per rifornire di missili le batterie del sistema Iron Dome che protegge contro gli attacchi con razzi e missili le città israeliane si è di nuovo bloccata. Non ci sono aggressioni verbali in pubblico tra i due governi perché lo stile non è quello, ma in questo periodo c’è insofferenza.