Perché si è sfilacciata la fiducia nella democrazia dei tedeschi
In Germania alcuni dati mostrano una certa disaffezione dei cittadini verso il sistema democratico. Una crisi d'immagine comune a molti paesi del mondo, amplificata dall'apparente incapacità di fornire risposte su alcuni temi prioritari. Il colloquio del Foglio col politilogo Julian Nida-Rümelin
Solo il 50 per cento dei tedeschi ha fiducia nella democrazia mentre un altro 30 ha poca o non ha alcuna fiducia nel sistema democratico. E’ la Körber Stiftung a diffondere questi dati, ben riflessi anche nella fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni: poco meno di un tedesco su tre (il 32 per cento) si fida del Bundestag e solo uno su cinque (il 20 per cento) dei partiti politici (molto meglio la giustizia al 55 e la scienza al 67 per cento). Qualcosa si è rotto nel rapporto fra la Repubblica federale tedesca e i suoi cittadini. Il Foglio ne ha parlato con Julian Nida-Rümelin, il filosofo e politologo che ha curato lo studio. Accademico, saggista, e dal 2020 vicepresidente del Consiglio etico tedesco, Nida-Rümelin conosce bene anche il mondo della politica avendo servito il governo come ministro di stato alla Cultura del primo gabinetto Schröder (1998-2002) e poi per l’impegno attivo dentro alla Spd.
Sgombrando il campo da possibili fraintendimenti, il professore premette che i dati diffusi dalla Fondazione Körber non sono l’esito o la reazione della società tedesca alla pandemia di Coronavirus, “ma rappresentano uno sviluppo mondiale, comune alla Germania, alla Gran Bretagna, e agli Stati Uniti. Anche l’Italia non mi sembra sia rimasta immune dal fenomeno”, afferma in un italiano impeccabile ricordando gli appelli ai “pieni poteri” da parte di Matteo Salvini e gli esordi anti istituzionali dei Cinque Stelle. Ma l’analisi di Nida-Rümelin non è legata a questo o a quel leader politico: da studioso della razionalità collettiva, spiega che la democrazia soffre in primo luogo perché vittima di un’immagine sbagliata, con i tedeschi che associano il sistema alla volontà della maggioranza e non a un complesso equilibrio fra i poteri, al rispetto dei diritti umani e alla condivisione “di una cultura civica.” Perché, senza tema di smentire Jürgen Habermas, “la mancanza di cultura civica porta al decadimento prima della politica e poi delle istituzioni, basta guardare a cosa è successo in America”.
Alla crisi di immagine si aggiunge un disamore di natura pratica: “Un sistema politico non può funzionare quando la cittadinanza ha l’impressione che il sistema non abbia la capacità di risolvere le grandi sfide” come le migrazioni, il cambiamento climatico, la disuguaglianza. L’Ue non ha ancora sviluppato un concetto comune per affrontare le crisi migratorie, “e questo indebolisce il sistema”. Né nuove crisi finanziare sono state scongiurate. Fare di meglio però è imperativo. “Finché l’alternativa alla nostra crisi è un sistema fallimentare come l’Urss alla fine dei suoi giorni, il problema è risolto in partenza”. Oggi però esistono anche modelli diversi, spesso autoritari, dove un aeroporto si costruisce in due anni (come a Pechino) e non in 15 (come a Berlino). Attenzione, dunque, a non farsi incantare dalle democrature. Né, al contrario, bisogna rassegnarsi a un clima di rovina. Anzi. Il filosofo osserva la buona tenuta della democrazia in tempi di pandemia in Italia e Germania, dove l’equilibrio politico fra centro e periferie è la regola e dove il potere è meno accentrato rispetto alla Francia o agli Stati Uniti. Più compromessi e più centri di potere comportano una minore polarizzazione rispetto a sistemi presidenziali dove uno decide per tutti. E dall’equilibrio arrivano meno rischi di cadere nel populismo, “un metodo che non funziona per la gestione delle crisi: chi avrebbe immaginato che l’AfD avrebbe perso consensi durante la pandemia?”. O che la promessa di denari da parte dell’Europa avrebbe aumentato la razionalità dei governanti italiani a favore della modernizzazione del paese? La democrazia va curata “dal basso”, con più partecipazione dei cittadini ai processi decisionali nelle città e un maggiore impegno in seno i partiti.
In questo senso, Nida-Rümelin non è contrario alla nuova tendenza dei partiti politici tedeschi di consultare i propri tesserati chiedendo loro di confermare, per esempio, la scelta delle alleanze politiche. “Non ci vedo una forma di populismo, ma il tentativo di allargare il numero dei decisori” nel solco dell’articolo 21 della Legge fondamentale tedesca, secondo cui “i partiti concorrono alla formazione della volontà politica del popolo” – e qui le analogie con la Costituzione italiana (vedi all’art. 49) non mancano.