Provate a dire chi sostiene il premier etiope contro i tigrini in ritirata
Dietro la situazione in Etiopia si muovono non solo le potenze impegnate ufficialmente nella mediazione con il Tplf. Ma anche Turchia, Emirati. E soprattutto la Cina
Bologna. Lo scorso novembre il fronte politico e militare separatista tigrino, il Tplf, avanzava da nord verso sud sconfinando oltre la regione del Tigrè fino in quella degli Amhara e degli Afar. Si era creato un equilibrio avverso al governo federale guidato dal premio Nobel per la pace Abiy Ahmed e diverse città strategiche, come Dessie e Lalibela, passavano sotto il controllo dei separatisti. La situazione sembrava grave, tanto che nella capitale etiope, Addis Abeba, era stato proclamato lo stato d’emergenza e tutti i cittadini chiamati a dichiarare le proprie armi e tenersi pronti per eventuali scontri. Nelle scorse ore, però, gli eventi hanno cambiato segno e il Tplf è arretrato. In poche decine di ore la quasi totalità delle truppe tigrine è nuovamente all’interno dei confini del Tigrè. A leggere la lettera inviata alle Nazioni Unite dal loro capo e portavoce, Debretsion Gebremichael, la ritirata è una mossa volontaria e distensiva. Serve per spianare la strada a un processo di pace: tornare all’interno dei propri confini regionali innanzitutto per permettere, finalmente, l’arrivo degli aiuti umanitari (l’esercito federale aveva messo proprio la ritirata dei tigrini come condizione per lasciar passare ong e rifornimenti) e poi per normalizzare i rapporti col resto delle forze regionali e federali. Secondo Addis Abeba, al contrario, si tratterebbe di una sconfitta sul campo che le forze tigrine starebbero nascondendo e pubblicizzando come ritirata volontaria. In ogni caso un’evoluzione dello scenario in questo senso è proprio ciò che chiedevano entrambi i mediatori internazionali impegnati a portare l’Etiopia sulla strada della de-escalation: gli Stati Uniti e l’Unione africana.
Ma i motivi della ritrovata stabilità del governo etiope vanno ricercati anche oltreconfine. Lo scorso novembre il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavusoglu, avrebbe discusso con la sua controparte etiope, Demeke Mekonnen, e l’oggetto della discussione sarebbe stato proprio il supporto di Ankara alle truppe del governo federale guidato da Abiy Ahmed. I droni turchi, però, i Bayraktar Tb2, erano stati notati già diversi mesi prima. Ancora prima della chiamata tra i due ministri, nel mese di agosto, Addis Abeba e Ankara firmavano un patto di cooperazione militare che, di fatto, ha ampliato la proiezione turca nella regione. E’ un processo già in atto: nella vicina Somalia, infatti, la Turchia ha la sua base militare oltreconfine più grande e fornita in assoluto, Camp Turksom. E va tenuto conto anche che è sempre la Turchia il primo stato estero per investimenti in territorio etiope.
Il sostegno turco, inoltre, non è l’unico di cui ha goduto Addis Abeba: c’è stato innanzitutto quello delle truppe eritree, che hanno partecipato al conflitto sconfinando da nord all’interno del Tigrè sin dalle prime settimane di scontri e violenze. Ma ciò che ha contato di più è stato quello di altri attori regionali e globali, a partire dagli Emirati, l’Iran e la Cina. Potenze che, proprio come la Turchia, hanno dimostrato di voler aiutare il governo federale etiope e il suo esercito, l’Endf, contro quelli che, a più riprese, sono stati derubricati a “terroristi”. Gli emiratini, secondo diverse fonti, compreso il sito di giornalismo investigativo Bellingcat, avrebbero messo a disposizione dell’esercito federale i droni di fabbricazione cinese modello Wing Loong II, partiti dalla base di Assab (base emiratina in territorio eritreo).
Anche Iran e Cina avrebbero offerto supporto al governo federale con l’obiettivo di rendere inutili sia i tentativi di mediazione occidentali sia le minacce di sanzioni internazionali da parte di Stati Uniti e dell’Unione europea. Minacce che non hanno funzionato. Come ha detto alla Bbc Kjetil Tronvoll, esperto di conflitti nel Corno d’Africa, “il governo etiope sente che può fare a meno dell’occidente, che può ottenere armi dall'’Iran, dalla Turchia e dalla Cina, prestiti agevolati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati arabi uniti e protezione politica dalla Russia e dalla Cina”. Una dimostrazione plastica di ciò che dice Tronvoll c’è già stata: la visita a sorpresa ad Addis Abeba del ministro degli Esteri cinese Wang Yi l’ultima settimana di novembre. Motivo della visita? Dichiarare il sostegno di Pechino ad Addis Abeba.