Una guerra tech

Perché il caso Lieber è importante capire Usa vs Cina

La Cina attrae con i soldi gli scienziati americani e diventa un gigante tecnico-scientifico. L'America diventa paranoica

Giulia Pompili

Il famoso scienziato americano Charles Lieber è stato ritenuto colpevole di aver mentito al governo degli Stati Uniti perché non ha dichiarato di essere parte di un programma governativo cinese. Biden usa uno strumento di Trump per proteggere la sicurezza nazionale

Una corte federale ha stabilito ieri che lo scienziato americano Charles Lieber è colpevole di aver mentito al governo degli Stati Uniti perché non ha dichiarato di essere parte di un programma governativo cinese, non ha comunicato i suoi redditi percepiti in Cina e nemmeno l’esistenza di un conto bancario in Cina a suo nome. Direttore del dipartimento di Chimica all’Università di Harvard, noto per il suo lavoro sull’ingegneria dei nanomateriali e le applicazioni innovative nella medicina, Lieber è in aspettativa dal gennaio del 2020, quando è stato arrestato e poi, poco dopo, rilasciato su cauzione. Il processo contro di lui, che è durato sei giorni e si è chiuso ieri a Boston, è stato molto seguito dai media internazionali perché si tratta della prima volta in cui uno scienziato viene perseguito non per spionaggio o furto di proprietà intellettuale, ma per i soldi che ha intascato dai cinesi. 

L’intera vicenda Lieber è il sintomo di qualcosa che sta cambiando: per l’Amministrazione Biden e per tutti i dipartimenti del governo la priorità resta la Cina e la messa in sicurezza delle eccellenze americane, costi quel che costi. Oggi c’è più consapevolezza da parte della comunità occidentale sulla Cina e sui suoi metodi, più sottili e sofisticati rispetto, per esempio, a quelli a cui eravamo abituati durante la Guerra fredda. Ma allo stesso tempo il timore dello spionaggio, del reclutamento, della manipolazione delle informazioni sta mostrificando la collaborazione nel settore  scientifico, tradizionalmente aperto e per sua natura vantaggioso se condiviso. Dall’altra parte di questo scivoloso crinale c’è la Cina, che con la sua assenza di  trasparenza e i suoi soldi da anni si inserisce nelle accademie, nei centri di ricerca e nei politecnici di mezzo mondo facendo quello che in gergo si chiama “pesca a strascico”: ingraziarsi chiunque un domani possa essergli utile. Al centro di questa strategia, secondo il dipartimento di Giustizia americano, c’è un programma che si chiama Thousand Talents, nato nel 2008 per volontà del governo di Pechino e che ha una sezione dedicata ai ricercatori stranieri. Il Ttp fa più o meno quello che fanno le fellowship internazionali con gli accademici stranieri: ti do dei soldi, tu vieni a studiare/insegnare qui. Ma il programma cinese è ben più remunerativo e fa leva sulla vanità – molto spesso repressa dal sistema universitario occidentale – degli scienziati: vieni qui, e ti do tutto quello di cui hai bisogno. Nel suo primo interrogatorio di cui ieri in aula è stato mostrato un video, Lieber  spiega che non lo ha fatto per i soldi cinesi, ma per avere più alunni a cui insegnare e di conseguenza salire nella graduatoria per il Nobel: “E’ imbarazzante, ma ogni scienziato vuole vincerlo”, ha detto. Prendere dei soldi per degli insegnamenti in più non è illegale. Il problema di Lieber è che durante un’indagine nei suoi confronti, quando gli è stato chiesto a Lieber se avesse preso parte al Thousand Talents program, lui aveva risposto di no. E sapeva di mentire.

 

Negli ultimi anni è successo a diversi scienziati di aver mentito sulle loro collaborazioni con la Cina. Molto spesso lo hanno fatto non per nascondere qualcosa, ma per paura. Nel 2018 l’Amministrazione Trump ha istituito la China Initiative, una specie di vasto programma per cercare e incriminare le spie cinesi nelle università americane. Secondo diversi esperti, però, non solo la China Initiative non funziona, ma è anche pericolosamente estesa. Un’indagine molto dettagliata di Eileen Guo, Jess Aloe e Karen Hao pubblicata qualche settimana fa sul Mit Technology Review dice che il programma trumpiano “si è allontanato molto dalla sua missione iniziale. Invece di concentrarsi sullo spionaggio economico e sulla sicurezza nazionale, l’iniziativa sembra ora essere un termine generico per casi collegati in qualche modo con la Cina, sia che riguardino hacker sponsorizzati dallo stato, contrabbandieri o accademici accusati di non aver rivelato tutti i legami in Cina sui moduli relativi alle sovvenzioni. A oggi, solo un quarto degli imputati accusati nell’ambito della China Initiative è stato condannato e circa la metà degli imputati in attesa di giudizio non ha ancora visto l’interno di un’aula di tribunale”. Il 90 per cento dei sospettati è di origini asiatiche. Per molti scienziati – e anche diversi politici – la China Initiative è controproducente, proprio perché sposta l’attenzione dal problema fondamentale: proteggere la sicurezza nazionale. Lieber rischia fino a cinque anni.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.