Una risoluzione diplomatica contro il nucleare iraniano
L’Iran arricchisce uranio al 60 per cento e minaccia di passare al 90. Il momento di agire è adesso
Il Washington Institute pubblica questa dichiarazione firmata da nomi di primo piano della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Fra gli altri ci sono l’ex direttore della Cia David Petraeus, l’ex direttore della Cia Leon Panetta, l’ex sottosegretario alla Difesa Michéle Flournoy. Non sono polemisti trumpiani, hanno fatto tutti parte dell’Amministrazione Obama e chiedono a Biden di agire per impedire che l’Iran abbia l’arma atomica.
La sfida per impedire all’Iran di acquisire un’arma nucleare – un impegno preso dalle successive leadership di entrambi i partiti, Stati uniti e Iran – ha raggiunto un momento critico. La diplomazia sembra retrocedere, mentre i rappresentanti iraniani a Vienna avanzano nuove richieste massime e ritrattano sulle concessioni precedenti, nonostante i suoi scienziati stiano superando pericolose soglie di arricchimento dell’uranio. Il segretario di stato Antony Blinken aveva ragione nel dire che gli Stati Uniti non accetteranno un approccio dell’Iran che si blocca nei colloqui mentre nel frattempo avanza sul suo programma nucleare. I negoziati di Vienna rischiano di diventare una copertura affiché l’Iran si muova verso il raggiungimento della soglia necessaria a costruire una bomba atomica.
Sosteniamo fortemente la preferenza dell’Amministrazione Biden per l’uso della diplomazia per garantire che il programma nucleare iraniano rimanga esclusivamente per scopi civili. Solo con un accordo diplomatico ci può essere una risoluzione reciprocamente accettabile di un problema particolarmente importante, mentre il mondo è alle prese con sfide urgenti come le minacce della Russia all’Ucraina e una Cina sempre più aggressiva. Mentre gli Stati Uniti hanno riconosciuto il diritto dell’Iran al nucleare per scopi civili, il comportamento iraniano continua a indicare che non solo c’è la volontà di preservare un’opzione per le armi nucleari, ma si sta muovendo attivamente per sviluppare tale capacità. Come ha dichiarato Rafael Grossi, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, la decisione dell’Iran di arricchire l’uranio al sessanta per cento e di produrre uranio metallico non ha alcuno scopo civile giustificabile.
E’ importante ricordare che il limite iraniano per l’arricchimento di uranio sancito dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) del 2015 – l’accordo diplomatico il cui ritorno è l’obiettivo dei negoziati di Vienna – era del 3,67 per cento. Limite che era stato fissato per essere ben al di sotto della linea di demarcazione del venti per cento di arricchimento, che separa l’uranio a basso e ad alto arricchimento e il cui attraversamento è stato ampiamente visto come un indicatore dell’intenzione iraniana di muoversi verso l’arricchimento di tipo militare. Per molti di noi, compresi quelli che hanno sostenuto il Jcpoa, l’arricchimento al venti per cento per gli Stati Uniti era una linea rossa che avrebbe scatenato gravi conseguenze.
Oggi la realtà più inquietante è che l’Iran arricchisce al sessanta per cento e minaccia di passare al novanta per cento; inoltre, sul suo percorso attuale, gli esperti affermano che l’Iran potrebbe accumulare, nel giro di pochi mesi, abbastanza uranio arricchito al sessanta per cento e sufficienti conoscenze tecniche sul processo di arricchimento da rendere i limiti, come attualmente concepiti, in gran parte irrilevanti. Ciò dovrebbe far scattare campanelli d’allarme non solo per la pericolosità intrinseca, ma anche perché indica che Teheran non teme conseguenze.
Se non si sarà abbastanza persuasivi nel ricordare all’Iran che subirà gravi conseguenze se dovesse continuare sulla sua strada attuale, ci sono poche ragioni per sperare nel successo della diplomazia. E data la velocità con cui l’Iran sta andando avanti con il suo programma nucleare, tali conseguenze non possono essere limitate all’isolamento politico, alle risoluzioni di condanna nelle sedi internazionali e a ulteriori sanzioni economiche – che sono tutte parte necessaria di una strategia americana nei confronti dell’Iran, ma che in questa fase non sono sufficienti per convincere i leader iraniani che il prezzo che pagheranno richiederà loro di cambiare rotta. Pertanto, per il bene del nostro sforzo diplomatico nel risolvere questa crisi, crediamo che sia vitale ripristinare il timore dell’Iran che il suo attuale percorso nucleare innescherà nei suoi confonti l’uso della forza da parte degli Stati Uniti. La sfida è: come ripristinare la credibilità degli Stati Uniti agli occhi dei leader iraniani. Anche le parole – comprese le formulazioni più acute e dirette di “tutte le opzioni sono sul tavolo” – sono necessarie, ma non sufficienti.
In questo contesto, crediamo sia importante che l’amministrazione Biden adotti misure che portino l’Iran a credere che persistere con il comportamento attuale e rifiutare una ragionevole risoluzione diplomatica metterà a rischio la sua intera infrastruttura nucleare, costruita faticosamente negli ultimi tre decenni. Tali misure possono includere l’organizzazione di esercitazioni militari di alto profilo da parte del Comando Centrale degli Stati Uniti, potenzialmente insieme agli alleati e ai partner, che simulano ciò che sarebbe coinvolto in un’operazione così significativa, comprese le prove di attacchi aria-terra su obiettivi consolidati e la soppressione delle batterie di missili iraniane. Altrettanto importante sarebbe fornire sia agli alleati che ai partner locali, sia alle installazioni che alle risorse statunitensi nella regione, capacità difensive rafforzate per contrastare qualsiasi azione di ritorsione che l’Iran potrebbe compiere, segnalando così la nostra disponibilità ad agire, se necessario. La cosa più significativa forse è che mantenere le promesse passate degli Stati Uniti di agire con forza contro altri oltraggi iraniani, come l’attacco con i droni da parte delle milizie sostenute dall’Iran contro la base americana di al-Tanf in Siria, la cattura illegale di navi mercantili da parte dell’Iran e l’uccisione di marinai disarmati, potrebbe avere l’impatto salutare di sottolineare la serietà degli impegni degli Stati Uniti ad agire sulla questione nucleare.
Facciamo chiarezza – non stiamo sollecitando l’amministrazione Biden a minacciare un “cambio di regime” o a sostenere una strategia di “cambio di regime” sotto la copertura della non proliferazione. Non si tratta di ostilità verso l’Iran o il suo popolo. Infatti, esortiamo il governo degli Stati Uniti a fornire sostegno umanitario, inclusi i vaccini contro il Covid-19 e altra assistenza medica, ora – indipendentemente dall’impasse diplomatica. Ma è essenziale uscire da quest’impasse e fermare la pericolosa avanzata del programma nucleare iraniano.
Riteniamo che un accordo diplomatico che garantisca in modo completo e verificabile che il programma nucleare iraniano sia esclusivamente per scopi pacifici, rimanga il modo migliore per affrontare la sfida nucleare iraniana. E’ anche il modo migliore per prevenire una cascata di proliferazione nucleare in medio oriente, in cui altri paesi della regione si sentono costretti a eguagliare le capacità iraniane, con conseguenze disastrose per la sicurezza regionale e le norme globali di non proliferazione.
Per evitare un conflitto militare – da parte nostra o di qualsiasi altro attore che si ritenga minacciato da una capacità nucleare iraniana – dobbiamo massimizzare le prospettive di un accordo. Per raggiungere questo obiettivo sarà essenziale offrire incentivi all’Iran, sia per influenzare il dibattito a Teheran che per dimostrare al mondo – specialmente a Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia e Germania, negoziatori con l’Iran – quanto gli Stati Uniti vogliano un accordo. Ma ripristinare la paura iraniana sulle gravi conseguenze che subirà se rifiuta non è meno essenziale del chiarire ciò che Teheran ha da guadagnare. Il momento di agire è adesso.
Howard Berman, Michéle Flournoy, Jane Harman, Leon Panetta, David Petraeus, Dennis Ross, Robert Satloff