nuovi negoziati
L'Iran si comporta come se l'accordo sul nucleare non si farà. Tre fatti
I segnali che arrivano da Teheran non lasciano presagire una volontà di intesa sul nucleare nel breve termine, nonostante l'occidente abbia avvertito come il tempo stia per scadere
La saga dei colloqui sul nucleare iraniano sembra una serie televisiva scritta male in cui i ripensamenti della Repubblica islamica si susseguono troppo rapidamente e da talmente tanto tempo che non funzionano come colpi di scena perché te li aspetti. Ieri a Vienna sono ricominciati i negoziati e l’ultima volta le parti si erano lasciate così: gli Stati Uniti e gli europei volevano andare avanti mentre gli iraniani hanno deciso di interrompere per un po’. Gli occidentali non l’hanno presa bene e hanno assicurato che comunque il prossimo round, questo, sarebbe stato quello definitivo. Ma l’Iran non sente l’urgenza e ha risposto, in sostanza: che sarà l’ultimo lo dite voi. Visto che sono sempre loro a ritardare i negoziati, gli occidentali pensano che sia una strategia per portarsi avanti con il programma nucleare, che è già molto avanzato. Questo prima che tornino i vincoli semmai si arriverà all’accordo.
Al tavolo diplomatico si continua a fare un passo in avanti e uno indietro. Il rappresentante dell’Ue Enrique Mora – che non è un falco, anzi è andato alla cerimonia d’insediamento del presidente Ebrahim Raisi a Teheran che il resto dell’occidente ha disertato (o non ha ricevuto l’invito) – dice che il lavoro “sta diventando difficile”. Lui è una figura fondamentale nelle trattative ed è quello che parla con gli Stati Uniti, memorizza, poi entra in un’altra stanza e riporta agli iraniani, e viceversa. Ieri il ministro degli Esteri, Hossein Amir-Abdollahia, ha ribadito che gli europei soprattutto i francesi “non hanno un atteggiamento costruttivo”, poco prima che le delegazioni si incontrassero in una stanza di Palais Coburg per chiarire. Non ha aiutato la notizia arrivata in quelle ore che Benjamin Briere, un turista francese che da un anno e mezzo si trova in carcere in Iran accusato di spionaggio, ha iniziato lo sciopero della fame e ha chiesto aiuto al proprio governo.
Se la situazione a Vienna resta complicata, dall’Iran arrivano altri segnali contraddittori. Il giornale Kayhan, vicino alla Guida suprema, minaccia che l’arricchimento dell’uranio salirà al 90 per cento (utile solo per la bomba), mentre il capo dell’Agenzia atomica iraniana assicura che – anche senza accordo – l’Iran non andrà oltre l’arricchimento al 60 per cento e comunque ne farà uso solo per scopi civili: il problema è che per quelli non serve arricchire al 60 per cento, cosa che Teheran sta già facendo. Due giorni fa i giornali conservatori iraniani mettevano in prima pagina l’ultima esercitazione militare dei Guardiani delle Rivoluzione e sottolineavano una cosa: il “campo di battaglia” non ostacola la diplomazia a Vienna, la completa. Sembra una provocazione e i toni dei titoli sono: “Missili al servizio della diplomazia”. E’ anche un modo per dire che i riformisti che avevano fatto l’accordo non sapevano farsi valere. La scelta delle parole è una ripicca contro l’ex ministro degli Esteri Javad Zarif, che in una conversazione intercettata usava “campo di battaglia” per riferirsi ai pasdaran, e si lamentava del fatto che hanno troppo potere nel decidere la politica estera.
Poi c’è un altro segnale interessante, gli iraniani hanno disegnato il budget del prossimo anno dando per scontato che le sanzioni non saranno rimosse, quindi che non ci sarà l’accordo. E c’è una proposta di un gruppo di conservatori che – se fosse approvata – imporrebbe di vincolare alcune voci di spesa pubblica ai proventi dall’export di petrolio. Se queste voci fossero la scuola o la sanità, si potrebbe leggere come un’apertura: tornate a comprare il nostro petrolio, non usiamo quei soldi per finanziare le milizie. Invece la proposta prevede il contrario, legare direttamente il petrolio alle spese militari e al finanziamento dei pasdaran. Questo significherebbe rendere impossibile la rimozione delle sanzioni: per gli americani i pasdaran sono terroristi e non potrebbero mai accettare transazioni sul greggio se vanno esplicitamente a finanziare loro.
Gli Stati Uniti dicono che il tempo che manca all’Iran per sviluppare un’arma nucleare è “davvero breve” e anche gli europei dicono che restano poche settimane per chiudere l’accordo. A questo punto diversi analisti, tra cui Eric Brewer (esperto di Iran) e Nicholas L. Miller (esperto di proliferazione nucleare) si domandano perché non venga stabilita una linea rossa, superata la quale ci si muove contro l’Iran: altrimenti allarmi e scadenze suonano come parole vuote.