Quello che dice Radio Trump
All’ascolto di Dan Bongino, che dà voce all’America che aspetta il gran ritorno
Scordatevi i sigari cubani e l’aria da congiura esoterica che aleggiava nelle dirette radiofoniche di Rush Limbaugh, passato a miglior vita lo scorso febbraio. Il nome che emerge come capofila delle potenti conservative radio americane, più che mai destinate a tirare la volata al ritorno di Donald Trump per il 2024, è quello di Dan Bongino. E se vogliamo definire lo stile che Bongino utilizza ogni giorno al microfono, possiamo tranquillamente parlare di “radio coatta”. Il suo è un mondo di arrabbiati scandalizzati, sempre in guardia contro pericoli misteriosi e le stranezze nel giardino del vicino, gelosi della privacy, sospettosi di tutto, a cominciare dalle malefatte del governo, ostinati nel descriversi come “unici veri americani”.
Davvero la good old America è ridotta così? Di sicuro, mentre l’informazione liberal continua a rotolare in parabola discendente, i numeri dell’ascesa di uno come Bongino sono impressionanti: già adesso, con otto milioni e mezzo di ascoltatori settimanali, il suo show naviga nelle altissime sfere dei talk radiofonici, surclassando campioni come Glenn Beck e Mark Levin e piazzandosi al primo posto assoluto tra i podcast più ascoltati. Dal momento che il duo Clay Travis-Buck Sexton – quest’ultimo ex agente della Cia – scelto da Premiere Networks per rimpiazzare la slot di programmazione di Limbaugh, non sta funzionando, gli addetti adesso puntano su Bongino come unico possibile erede di Rush. E perfino il venerabile New Yorker si è sentito in dovere di dedicare a Bongino un ritratto long format, ambientato a Stuart, Florida, il suo quartier generale a due passi da Mar-a-Lago, la tenuta dove Trump sta consumando il suo esilio. Qui il 47enne Bongino affila le armi della comunicazione estremista, che ha messo a punto facendo l’ospite fisso da Sean Hannity su Fox News, dopo che per tre volte le sue candidature politiche al Congresso si sono risolte in un fiasco.
L’edificazione del nuovo personaggio pubblico di Bongino è tutta a base di muscoli, t-shirts aderenti, barbetta rifilata, riverberi QAnon ed eloquio pantagruelico, stile Ventunesimo secolo: Satana è dappertutto, se la pensi diversamente devi morire, l’America va ripulita dagli eretici, le elezioni sono state un colossale imbroglio, le mascherine sono pannolini per la faccia e via per questo arguto sentiero espressivo. Del resto la genialità delle talk radio sta nel battere dove il dente duole, intercettare dove tiri l’aria dello scontento e spargerci sopra benzina e peperoncino. Un ininterrotto fiotto di lamenti, accuse e anatemi, tre ore al giorno, cinque giorni alla settimana: così personaggi come Bongino si lavorano la psiche degli americani che li ascoltano dalle autoradio o dai cellulari nelle sale d’attesa degli aeroporti, plasmando, come la goccia sulla pietra, quell’ultima mentalità americana che funge da infrastruttura a un ritorno chiamato “Donald Trump”.
E’ l’America arrabbiata, malfidata e insoddisfatta, armata di argomenti da rilanciare al bar grazie all’ascolto di personaggi come Bongino, che nelle foto promozionali ostenta atteggiamenti presi di peso dalle immagini dei “rivoluzionari” che attaccarono il Campidoglio il 6 gennaio scorso: “Dalla Polizia di New York ai servizi segreti… ora davanti a un microfono per combattere la sinistra radicale e la sua putrida palude…”, grida l’annunciatore su un tappeto opportunamente heavy metal (unico sound che non conosce mai contaminazione razziale) introducendo Bongino. E parte la sua radio coatta nei toni e nell’approccio da strada, che dice pane al pane e che, se non sei d’accordo, “are you talkin’ to me…?”. Fate l’esperimento online, ascoltando qualche minuto del suo show: avrete la misura di cosa sarà l’imminente corsa per la presidenza degli Stati Uniti: non un confronto di idee o un dibattito tra punti di vista, ma uno scontro verbale che prefigura quello fisico, in vista di una sopraffazione che disdegnerà gli argomenti e pretenderà la supremazia. In sostanza, il mondo illogico di Donald Trump.
Dalle piazze ai palazzi