editoriali
Il danno irreparabile
L’inviata di Biden per le donne in Afghanistan nulla potrà contro i talebani
Rina Amiri è una diplomatica tosta, scappata dall’Afghanistan con la sua famiglia negli anni Settanta, fiduciosa quando suo padre le diceva “torneremo”, molto attiva nel difendere il popolo afghano e critica, criticissima, nei confronti del ritiro voluto da Joe Biden quest’estate, frettoloso e catastrofico e, ha detto lei in un’intervista non molto promettente per quel che riguarda la sua idea della potenza americana, “dolorosamente freddo” nei confronti dello strazio degli afghani.
Bene ha fatto dunque l’Amministrazione Biden a nominare una figura come la Amiri come inviata in Afghanistan per i diritti delle donne: c’è competenza e c’è piglio. Il problema è che questa nomina annunciata ieri – assieme a quella di Stephanie Foster come consigliere speciale del dipartimento di stato sempre per i diritti delle donne afghane – è un altro tocco cosmetico a un disastro irrimediabile. I talebani, che ogni giorno annichiliscono i diritti degli afghani a suon di botte ed esecuzioni, non staranno certo ad ascoltare l’inviata degli americani che chiede un maggior rispetto per le donne.
Si possono creare delle reti di ong, si possono organizzare le migliaia di evacuazioni promesse e non realizzate, ma certo non si può avere un dialogo con i talebani. Non tanto e non solo perché il regime è ufficialmente isolato dalla comunità internazionale occidentale, ma anche perché i talebani non lo vogliono, questo dialogo. Vogliono al massimo dei denari, quelli sì, ma sanno che possono trovarli altrove, da governi che non hanno alcuna coscienza dei diritti a casa loro, figurarsi se si metteranno a pretenderla in Afghanistan. Il ritiro dell’America ha creato lo spazio occupato brutalmente dai talebani, e un’inviata non potrà fare nulla per le donne, ma nemmeno per gli uomini che muoiono uccisi senza che nessuno se ne accorga o che si aggirano disperati, perché si muore di freddo e di fame in questo Afghanistan che abbiamo abbandonato.
L'editoriale dell'elefantino