da crisi a opportunità
I narcofunerali e le nuove droghe. Che pandemia utile per i cartelli
La crisi sanitaria non ha fermato il business dei narcotrafficanti: dal mercato delle droghe ai migranti, ecco come si sono riorganizzate le bande latinoamericane.
Invece di essere ridimensionati dalla pandemia, i narcos latinoamericani ne stanno uscendo più forti. Innumerevoli episodi di cronaca attestano questa effervescenza: dal cartello di Sinaloa che ha fatto rispettare il lockdown al posto delle autorità, al boom di “narcofunerali” con cui in stile messicano le bande cilene si sono messe a seppellire i propri morti in chiassose cerimonie a base di danze, fuochi d’artificio e sventagliate di mitra.
In Ecuador, a ottobre, il presidente Guillermo Lasso è stato costretto a dichiarare lo stato di emergenza, dopo i 119 morti di una faida tra bande carcerarie legate ai cartelli messicani rivali di Sinaloa e Jalisco nuova generazione, e a Haiti il New York Times sostiene che il presidente Jovenel Moïse sarebbe stato assassinato per aver tentato di inviare negli Stati Uniti una lista di persone legate al narcotraffico.
In queste notizie, c’è molto colore. Ma assieme ci sono anche cifre sempre più impressionanti. In Colombia, ad esempio, l’ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine ha attestato che nel 2021 a una riduzione dei raccolti di coca ha corrisposto un aumento dell’export di cocaina, perché i narcos hanno risposto agli sradicamenti record operati dai militari con nuove coltivazioni più produttive. Negli Stati Uniti, secondo il Centers for disease control, ci sono state nel 2020 18 mila morti per overdose da anfetamine e nel 2021 altre 64 mila per overdose di oppiacei sintetici: principalmente il fentanyl, che è da 50 a 100 volte più potente della morfina.
Secondo il segretario messicano alla Difesa nazionale, Luis Cresencio Sandoval, il fatto che i sequestri di fentanyl in territorio messicano siano aumentati da 559 chili nel 2015-2018 a 3.497 nel 2019-2021, e quelli di metanfetamine da 54.521 a 124.735, è la riprova che i cartelli stanno sempre più passando dalle tradizionali droghe coltivate come oppio, coca o cannabis alle droghe sintetiche. L’agenzia anti droga statunitense, la Dea, stima che se un chilo di eroina costa seimila dollari e si rivende a 80 mila, un chilo di fentanyl lievita da 4.150 dollari ad addirittura 1,6 milioni. Gran parte dei precursori chimici per fabbricare questa droghe sintetiche viene dalla Cina.
E’ il motivo per cui il cittadino cinese Chuen Fat Yip è stato inserito da Washington in una lista di narcotrafficanti, assieme a varie società pure cinesi come Wuhan yuancheng gongchuang technology, Shanghai fast fine chemicals e Hebei atun trading. Il 15 dicembre Biden ha così firmato due ordini esecutivi con cui ha istituito un consiglio nazionale per combattere la criminalità organizzata transnazionale e ha imposto sanzioni a 24 gruppi coinvolti nel traffico di droga, puntando in particolare sulla Cina, oltre che su Messico e Brasile.
“Un’industria resiliente ignora i problemi della catena di approvvigionamento”, scrive l’Economist. A un narco-business in teoria già in crisi per la legalizzazione della marijuana in vari paesi e per l’incarcerazione di molti boss, la pandemia secondo le aspettative avrebbe dovuto dare colpi ulteriori: da un crollo della domanda di cocaina o ecstasy per la chiusura delle discoteche, alla maggior difficoltà a procurarsi materie prime e far passare la “merce”.
Invece c’è stato un adattamento: in Colombia, le bande hanno messo a raccogliere coca i ragazzini che non andavano più a scuola; altri giovani con problemi occupazionali da lockdown sono stati messi a spostare i profitti nelle criptovalute; i cartelli messicani hanno scavato tunnel e usato droni; quelli brasiliani hanno rubato aerei da trasporto; un po’ dappertutto è aumentata anche la proporzione di droga portata per via marittima e fluviale.
Insomma, la possibile crisi è diventata un’opportunità di ristrutturazione e modernizzazione in cui è stata una componente importante anche il sempre più diffuso approccio ai clienti tramite social o app di messaggistica, al posto del dark web. La crescente esternalizzazione ha poi portato i cartelli brasiliani a delegare attività in Paraguay, e quelli brasiliani in Cile ed Ecuador. E i narcos hanno diversificato le attività, affiancando agli stupefacenti non solo evergreen come le rapine in banca o furto d’auto e carburante (con la polizia meno presente per il Covid); ma soprattutto il traffico dei migranti, che in Messico frutterebbe ai cartelli almeno cinque miliardi di dollari l’anno.