la nuova iron lady
Liz Truss, la politica britannica con la passione per la Thatcher
La ministra degli Esteri inglese è sulla bocca di tutti: potrebbe sostituire il premier Johnson in crisi. Ha un’ideologia conservatrice ferrea, cavalca le guerre culturali, è pazza per Instagram ma ha pure molti detrattori
Si può dire che la carriera politica di Liz Truss abbia avuto inizio nel 1983 in una scuola elementare a Paisley, in Scozia. L’insegnante stava svolgendo una simulazione delle elezioni generali e alla giovane Liz, otto anni e già un’anima da ribelle, venne chiesto di impersonare Margaret Thatcher, uno spauracchio nella Scozia anti conservatrice degli anni Ottanta. “Allora nemmeno io votai per lei”, avrebbe raccontato anni dopo Truss, che nel frattempo era diventata un’esponente di spicco dei Tory: “Eppure all’epoca ero già affascinata dalla Thatcher”. Questa fascinazione sarebbe diventata un’ossessione. Liz Truss, oggi ministro degli Esteri e candidata alla successione del premier Boris Johnson, si ispira all’Iron Lady in tutto quello che fa: emula le sue pose, usa la stessa retorica battagliera e, soprattutto, promette una nuova rivoluzione liberista in Gran Bretagna. Ma per capire cosa ha in testa la Tory più in vista del momento bisogna partire da un quartiere intellò nella Leeds degli anni Ottanta.
Truss ha un pedigree poco convenzionale per un politico conservatore. Viene dal nord dell’Inghilterra storicamente laburista, è tra i pochi ministri ad avere fatto la scuola pubblica e, soprattutto, è cresciuta in un milieu radical chic lontano anni luce dalla sua filosofia attuale. Liz Truss non è stata allevata nei circoli conservatori, come molti suoi colleghi ministri, ma ha mosso i primi passi in politica seguendo i genitori nelle marce per il disarmo nucleare degli anni Ottanta cantando “Maggie, Maggie, Maggie, out, out, out”, riferito alla Thatcher. La conversione al conservatorismo non è stato un evento, ma un processo lungo e sofferto che ha avuto inizio sui banchi di scuola. “Sono sempre stata contraria all’idea che il governo debba dire alla gente cosa fare”, avrebbe detto Truss ripensando a quegli anni in cui i professori, seguendo il dogma progressista dell’epoca, disdegnavano l’idea della competizione tra bambini e facevano correggere i compiti agli alunni. Truss non aveva mai incontrato un Tory prima di andare a Oxford, quando scoprì che “questi individui non hanno due teste e non mangiano bambini”. Negli anni universitari, decide di iscriversi al partito allora guidato dalla Thatcher. Il motivo? “La libertà e i temi economici”, dice Truss sintetizzando il fulcro della sua ideologia politica, e personale – sua figlia si chiama Liberty.
Per odiare davvero un’ideologia bisogna conoscerla dall’interno. Molti dei critici più feroci del comunismo sovietico sono cresciuti dietro la cortina di ferro, e qualcosa di simile si è verificato anche con Truss. “Suo padre è davvero di sinistra”, ha spiegato una sua ex collega al Daily Telegraph: “Lei ne parla spesso, non con rancore, ma parla della sinistra come facevano i vecchi politici, come la sinistra organizzata che l’ha minacciata. E’ davvero ideologica”. Molti conservatori hanno avuto una conversione anti cinese negli ultimi anni, ma Truss è stata tra le prime a descrivere lo scontro con Pechino in chiave puramente ideologica. In un discorso-manifesto al think tank Chatham House, deriso da molti esperti, la ministra degli Esteri ha usato una retorica thatcheriana, sollecitando il mondo libero a “combattere, e a usare il potere dell’economia e della tecnologia per promuovere la libertà, non la paura”. Come? Attraverso “le reti della libertà”, ovvero gli accordi commerciali tra paesi democratici e liberali per costruire un cordone sanitario attorno a Cina e Russia. Usando un lessico che sarà piaciuto molto ai falchi anti cinesi a Washington, Truss ha decretato la fine dell’“epoca dell’introspezione” – iniziata con la caduta del comunismo, quando il mondo libero si è adagiato sugli allori credendo di avere vinto la battaglia contro l’autoritarismo – e auspicato l’inizio di una nuova fase storica in cui il mondo occidentale deve guardare al futuro anziché combattere contro il proprio passato.
Sul fronte domestico, quando Truss critica il Labour non lo fa solamente per guadagnare consensi tra i militanti conservatori, ma perché ci crede davvero. Si dice anche che lei non abbia amici tra i banchi dell’opposizione. Così Liz Truss è diventata l’idolo dei membri conservatori, un popolo di circa 180 mila persone che vivono nel mito della Thatcher. Come ci spiega il sondaggista James Johnson, ex consigliere di Downing Street quando c’era Theresa May premier, “Truss dice ciò che i militanti Tory vogliono sentirsi dire: la difesa della libertà, del libero mercato, di un ruolo limitato dello stato. Ciò che la rende così popolare al momento è che molti militanti non sentono queste parole d’ordine né da Boris Johnson né da nessun altro membro del governo. Truss ha riempito un vuoto”.
I suoi discorsi si rivolgono all’animo profondo del conservatore deluso dalle politiche johnsoniane, che hanno alzato le tasse a un livello record dal Dopoguerra e imposto delle limitazioni alla libertà considerate eccessive, come il passaporto vaccinale per andare in discoteca. Pur essendo un membro di spicco del governo, Truss ha lasciato trapelare il suo scontento per l’aumento delle imposte e si è ugualmente opposta a un irrigidimento delle restrizioni dovute alla pandemia. Allo stesso tempo, la ministra degli Esteri, che dal 2019 è anche responsabile delle politiche sull’uguaglianza, è diventata la portabandiera dell’agenda anti woke che tanto piace ai Tory di provincia. Da buona thatcheriana, Truss non crede nella giustizia sociale, ma nel merito e nella competizione. Non crede nell’uguaglianza degli esiti ma nell’uguaglianza delle opportunità. “La mia visione dell’uguaglianza è questa: vieni trattato giustamente dai servizi pubblici? – ha detto in un’intervista al Telegraph nel 2019 – Godi di pari opportunità per avere un buon lavoro? Godi di pari opportunità per avere una buona istruzione? Questa per me è l’uguaglianza. Non significa provare ad aggiustare l’esito. Non avviene attraverso le quote o i corsi di formazione contro la discriminazione”. Musica per le orecchie dei Tory.
Truss è una femminista, ma nel senso thatcheriano del termine. Ci sono stati un paio di episodi di discriminazione che l’hanno segnata, e ne hanno influenzato il modo di pensare alla parità di genere. Da adolescente ha raccontato di avere provato “molto fastidio” quando era su un aereo con i suoi fratelli a cui furono affidate le targhe di “Junior Pilots” mentre lei fu derubricata a “Junior Air Hostess”. Molti anni dopo, nel 2009, Truss fu anche vittima di una moderna caccia alle streghe da parte di un gruppo di militanti conservatori. Alla giovane Liz, nemmeno trent’anni e una sconfitta alle spalle in un seggio ultra laburista, fu affidato come mentore il deputato e astro nascente Mark Field, che presto diventò il suo amante. Entrambi erano già sposati, e questo non andò giù a un gruppo di conservatori irriducibili, ribattezzati i “Turnip Taliban” (i talebani delle rape) che cercarono di distruggerle la carriera politica. Quando lei si presentò a South West Norfolk, il seggio che detiene ancora oggi, una anziana signora chiamò il quotidiano Mail on Sunday dicendosi “disgustata”, e promettendo battaglia. Questa storia di gelosie di provincia diventò un caso nazionale che si risolse in un voto a scrutinio segreto – i riformisti vinsero 132 a 37 – che permise alla Truss di candidarsi ed entrare a Westminster, e ai conservatori di entrare nel terzo millennio.
Con questo curriculum alle spalle, sarebbe stato fin troppo facile essere una paladina dei diritti delle donne. Eppure Truss è diventata la bestia nera delle femministe dure e pure, del partito delle quote rosa. Come si risolve la sottorappresentazione femminile? Puntando sul merito e la competizione e dando potere agli individui e non ai gruppi, risponderebbe Truss. Nel dicembre del 2020, la ministra dell’uguaglianza indignò l’establishment progressista britannico – e anche parecchi conservatori – sostenendo che il governo si stava concentrando troppo su alcuni argomenti considerati “trendy” come la razza, la sessualità e il gender, tralasciando la povertà e le disparità geografiche. Il discorso si intitolava “La nuova lotta per la giustizia” e proponeva un nuovo modo di intendere l’uguaglianza, basato sulla “libertà, la scelta, l’opportunità, l’individualismo e la dignità”. Fu in quel momento che Liz Truss diventò la culture warrior dei conservatori.
Ma il mito della Truss nel popolo dei Tory si è consolidato negli anni in cui è stata ministro del Commercio con l’estero, dal luglio del 2019 al settembre del 2021, e ha negoziato accordi commerciali con sessantotto paesi terzi. In questo periodo, dicono i sostenitori, Liz Truss – che è un ex remainer convertitasi alla Brexit in un secondo momento – ha dimostrato che l’uscita dall’Ue può portare a esiti concreti che non si sono visti in molte altre aree. Questi risultati le sono valsi la promozione al Foreign and development office a settembre e, da poche settimane, la delega ai negoziati con l’Unione europea. I critici invece sostengono che molte intese sono state negoziate dal suo predecessore Liam Fox, e che lei ha solamente messo la firma e preso il merito. Gli avversari fanno anche notare che tutti gli accordi commerciali – con l’eccezione dell’intesa con l’Australia – sono identici a quelli già in vigore quando il Regno Unito era membro dell’Ue. Il suo ministero è stato ribattezzato “Ctrl-C, Ctrl-V”, che sarebbero i tasti del “copia incolla”. Tuttavia, secondo il politologo Anand Menon, direttore del think tank UK in a Changing Europe, questo “è stato di per sé un successo. Nessuno dava per scontato che il Regno Unito dopo la Brexit avrebbe ottenuto le stesse condizioni rispetto a quando faceva parte di un blocco commerciale da oltre 500 milioni di persone”. Ma ciò che ha reso Truss così popolare è stato il modo in cui ha venduto gli accordi all’opinione pubblica. “Una lezione di marketing politico”, la definisce Anand Menon, che aggiunge: “Questo le ha permesso di diventare il volto della Global Britain, cosa che non è mai riuscita al ministro degli Esteri dell’epoca, Dominic Raab”. Alcuni critici l’hanno accusata di avere dato più importanza alla forma che alla sostanza, soprannominando il Department for International Trade (Dit) il “Department for Instagramming Truss”. La ministra ha condotto una grande operazione sui social – soprattutto su Instagram – postando foto in ogni angolo del mondo con lo Union Jack sempre in bella vista. Appena ne ha l’opportunità, si fa ritrarre in pose che richiamano l’Iron Lady – come quando è salita su un carro armato in Estonia, “alle frontiere della libertà”.
Eppure un domani questo approccio ideologico alla politica potrebbe nuocerle. Alcuni analisti descrivono Truss come una versione conservatrice di Jeremy Corbyn: molto popolare tra i militanti del suo partito ma poco amata dall’elettorato. Pur essendo al primo posto tra i militanti conservatori, Truss ha un indice di gradimento del 14 per cento nel paese mentre il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, il grande favorito alla successione di Boris Johnson, ha il 38 per cento. Uno studio di YouGov mostra che Truss è solamente al trentaseiesimo posto tra i politici conservatori più conosciuti. Il sondaggista James Johnson dice che quando fa il nome di Liz Truss nei suoi gruppi di discussione “la gente reagisce alzando le spalle” perché non la conosce abbastanza. Secondo un altro studio di YouGov, il 50 per cento dei britannici non sa chi sia Truss, una percentuale molto superiore agli altri ministri di spicco. Le ragioni sono tante, e il fatto che sia ministro degli Esteri, e dunque trascorra gran parte del tempo fuori dalla Gran Bretagna, non aiuta.
Secondo altri il problema è più profondo: le idee di Truss strappano applausi nei circoli conservatori, ma sono impopolari nel paese reale. Il suo grande problema, a detta di molti, è la “electability”, ovvero la scarsa capacità di vincere un’elezione nazionale. Molti elettori del cosiddetto “muro rosso” – le ex roccaforti laburiste che hanno votato per Johnson nel 2019, per cui ora si parla di “muro blu” – non vogliono ridurre il peso dello stato dell’economia, anzi vogliono vedere un aumento della spesa sociale nei servizi pubblici. Per questo è molto popolare Rishi Sunak, anche lui thatcheriano ma con un istinto pragmatico, che ha salvato milioni di famiglie e imprese con la cassa integrazione durante pandemia. La Gran Bretagna del 2021 é molto diversa dal paese malandato che negli anni Settanta si innamorò delle idee dirompenti dell’Iron Lady. Oggi i nipoti della Thatcher stanno riciclando quelle stesse idee. “Non si vede un’ideologia nuova nel Partito conservatore, né da parte di Truss né da parte degli altri possibili candidati – conclude James Johnson – Non è ancora emersa una filosofia alternativa rispetto a ciò che abbiamo già sentito negli ultimi decenni”.
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