Perché Trump è pazzo di Orbán

Micol Flammini

L'ex presidente americano dice di sostenere il premier ungherese alle prossime elezioni. Lo vede come un modello, da cui i trumpiani vanno anche a scuola

Roma. Donald Trump ha un punto di riferimento ideologico molto lontano rispetto agli Stati Uniti e soprattutto molto piccino, se si pensa che lui, Trump, è stato il presidente della nazione più potente del mondo e l’altro, il suo punto di riferimento, è il premier di uno stato  con meno di dieci milioni di abitanti: l’Ungheria. Trump ammira oltremodo Viktor Orbán, il quale  se c’è una cosa che ha saputo fare molto bene – oltre a guidare l’involuzione democratica del suo paese – è proprio contare a dismisura, saper sfruttare ogni situazione, ogni angolo, ogni particolare per far sentire la sua influenza. Orbán quest’anno si gioca il suo quarto  mandato consecutivo e dietro di sé ha una serie di macerie: ha buttato giù lo stato di diritto del suo paese, ha cercato di trascinare l’Unione europea in una  crisi esistenziale che ha a che fare con i suoi stessi valori fondativi, ed è stato il primo in Europa a trasformare la sua democrazia  in una democrazia illiberale. Sono tante le cose di Orbán che piacciono molto a Trump che lunedì, quasi fosse ancora il presidente degli Stati Uniti, ha detto che non ha dubbi per il voto che si terrà in aprile in Ungheria: lui sostiene il premier ungherese. 

 

L’ex presidente americano ha espresso “pieno sostegno e approvazione” e ha detto che Orbán “ha svolto un lavoro potente e meraviglioso proteggendo l’Ungheria, fermando l’immigrazione illegale, creando posti di lavoro, commercio e dovrebbe poter continuare a farlo”. Quest’anno però le elezioni si preannunciano un po’ diverse: l’opposizione si è unita in un unico grande gruppo che va da destra a sinistra e ha scelto come candidato premier un conservatore, Péter Márki-Zay, che dice di essere quello che Orbán vorrebbe essere. Non che il premier ungherese sia spacciato di fronte a questo blocco compatto contro di lui, ma il risultato delle elezioni potrebbe essere meno scontato delle volte precedenti e i sondaggi danno i due candidati testa a testa. Ma finora Orbán ha fatto tutto ciò che a Trump non è riuscito: ha collezionato un mandato dietro l’altro ed è diventato il leader a cui tutte le destre estreme guardano, è il premier da cui tutti vanno a scuola per imparare a essere leader illiberali resistenti e longevi.

 

Recarsi alla corte di Orbán non è un rito soltanto europeo, ma proprio a Budapest il trumpismo è andato più volte a cercare ispirazione, in alcuni casi è andato proprio a lezione. Nel 2021 si sono recati in Ungheria l’ex vicepresidente Mike Pence, che ha preso parte a un incontro sui valori della famiglia tradizionale e sul declino demografico, un tema che è molto sentito dal premier ungherese che in questi anni ha cercato, senza riuscirci, soluzioni per risollevare l’indice di natalità in Ungheria. Anche Jeff Sessions, ex procuratore generale degli Stati Uniti, è stato a Budapest per un incontro sull’immigrazione. In questo campo Orbán è considerato un vero maestro e ha più volte ricevuto i complimenti dei trumpiani. Tucker Carlson, il conduttore più noto di Fox News, l’emittente americana che è stata un megafono per l’ex presidente  e continua a esserlo, ha trascorso diversi giorni in Ungheria e non si è limitato a visitare Budapest. E’ andato in visita al confine con la Serbia dove Orbán ha fatto erigere una barriera di filo spinato per impedire ai migranti di entrare nel suo paese e che spesso mostra ad alcuni leader internazionali in visita, anche a Matteo Salvini. Carlson si è complimentato, ha definito il muro un successo, ne ha ammirato l’ordine e la pulizia e ha fatto il confronto con il confine tra Stati Uniti e Messico: “Sporco e caotico”. Orbán e Carlson sono andati molto d’accordo, a parte un piccolo incidente avvenuto durante l’intervista al premier: il conduttore ha definito Xi Jinping un “criminale totalitario”, Orbán ha fatto finta di nulla, ma ha fatto sparire la frase nella trascrizione pubblicata sul sito del governo ungherese

 

Orbán finora ha incantato un populista dopo l’altro e Donald Trump lo ha sempre osservato con ammirazione, che almeno a parole è reciproca. Fidesz, il partito del premier ungherese, ha già iniziato una campagna denigratoria nei confronti dell’opposizione, sostenendo che gli Stati Uniti – certo quelli di Joe Biden, non quelli di Trump – stanno cercando di interferire nelle elezioni. Gli ungheresi non hanno neppure iniziato a votare, e i populisti già iniziano a gridare stop the steal

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)