Cade la maschera
Trump prepara un discorso per schierarsi con l'attacco al Congresso di un anno fa
Domani conferenza stampa dal suo resort in Florida, potrebbe annunciare la svolta esplicita che non aveva ancora fatto. Il Partito repubblicano tenta di ignorare la faccenda
Domani l’ex presidente americano Donald Trump terrà una conferenza stampa in occasione dell’anniversario del 6 gennaio, quando una folla di suoi sostenitori attaccò il Congresso per bloccare il processo che certificava la vittoria elettorale di Joe Biden e anche per dare la caccia al vicepresidente Mike Pence, che per quattro anni era stato al fianco di Trump ma quel giorno era considerato “un traditore”. Dal suo resort di Mar-a-Lago in Florida Trump sosterrà, secondo il sito di notizie Axios che di solito è bene informato, che l’irruzione al Campidoglio di quel giorno fu la reazione legittima al furto delle elezioni da parte dei democratici il 3 novembre 2020. La rivolta al Campidoglio non fu violenta, dirà Trump domani, e comunque sempre secondo lui la folla di quel giorno era infiltrata da “antifa” – il termine che negli Stati Uniti è associato alla guerriglia urbana in stile black bloc – e dall’Fbi. Si tratta di una svolta definitiva: Trump durante quest’anno ha più volte attaccato la commissione d’inchiesta sui fatti del 6 gennaio, ma prima d’ora non aveva mai legittimato in modo esplicito l’attacco al Congresso.
Si sta compiendo una grande trasformazione: la data simbolo del 6 gennaio 2021 è passata nel giro di soli dodici mesi dall’essere un capitolo molto imbarazzante per il Partito repubblicano all’essere un momento fondativo dell’epica trumpiana e della fazione Maga (dallo slogan di Trump: Make America Great Again) che domina il partito. La conferenza stampa dell’ex presidente, che potrebbe correre di nuovo nel 2024, è pensata per fare controprogrammazione agli eventi organizzati dai democratici, che vogliono ricordare il 6 gennaio come il giorno di una pericolosa crisi interna per gli Stati Uniti.
Le cose non si svolsero come racconta Trump. Come provano le registrazioni e i messaggi ottenuti dalla commissione d’inchiesta, tutto lo stato maggiore repubblicano e il clan del presidente in quelle ore si rendevano conto che l’attacco della folla era un disastro senza precedenti nella politica americana e in molti mandavano messaggi per implorare il presidente di fermare l’irruzione. I figli Donald Trump Jr e Ivanka e anche i conduttori amici di Fox News tentavano di far capire al presidente uscente che quello che stava accadendo era dannoso per lui e per il suo schieramento e forse anche per le sue chance di continuare a fare politica in futuro, ma lui non cambiò idea per più di tre ore e intervenne con un messaggio debole quando l’attacco si era ormai consumato.
Se Trump imboccherà questa svolta, creerà una spaccatura ulteriore con il Partito repubblicano che intende lasciar passare il 6 gennaio senza fare nulla e vorrebbe poter cancellare gli eventi di un anno fa. Il leader della minoranza repubblicana alla Camera, Kevin McCarthy, domenica ha scritto in una lettera ai repubblicani che l’attacco “non poteva essere più sbagliato di quanto è stato” e che gli assalitori meritano di essere messi davanti “alle conseguenze legali e alla piena responsabilità” per quello che hanno fatto. Però si guarda bene dal criticare Trump – non può, se lo facesse finirebbe fuori dal partito – e accusa i democratici di usare il 6 gennaio “come un’arma politica”. La commissione d’inchiesta, secondo i repubblicani, è un’operazione della leader dem Nancy Pelosi per danneggiare gli avversari politici – ma anche loro sanno che un assalto al Congresso sarebbe stato seguito da un’inchiesta ufficiale.
I giornali americani scrivono che la commissione che investiga i fatti del 6 gennaio potrebbe raccomandare al dipartimento di Giustizia di incriminare Trump e i suoi per alcuni reati. Si tratta di raccomandazioni non vincolanti, perché la commissione non può incriminare Trump, e riguarderebbero almeno due filoni. Il primo: la campagna di raccolta fondi dei trumpiani per pagare i ricorsi legali contro Biden, che però loro sapevano già essere infondati. In pratica chiedevano soldi da tenere per il futuro con il pretesto che servivano a ribaltare la sconfitta elettorale. Il secondo filone: l’interruzione della procedura ufficiale di certificazione, anche con un comportamento omissivo – perché Trump rifiutò di intervenire durante l’assalto. Ci sono anche altri filoni minori. A quel punto la questione passerebbe nelle mani dei procuratori del dipartimento di Giustizia, che dovrebbero decidere se la raccomandazione vale la pena di essere ascoltata e mettersi al lavoro con l’Fbi (ma potrebbero già avere cominciato a indagare sugli stessi reati per conto loro).
Dalle piazze ai palazzi