a volte ritornano
Varoufakis punta al Cile e si propone come guru per l'economia
L’ex ministro delle Finanze greco, senza essere sollecitato, ha dettato a Boric un intero programma economico. La sua idea è che un governo progressista deve mettere più risorse a disposizione del popolo, aumentando l’indebitamento
Yanis Varoufakis si offre ora come “guru” economico a Gabriel Boric, che si insedierà l’11 marzo dopo essere stato eletto presidente del Cile il 19 dicembre. Salutato da molti come un “nuovo Allende” in un modo che potrebbe anche apparire non propizio, costretto a complesse trattative per un gabinetto che rassicuri i mercati dopo lo scivolone della Borsa e del peso seguito alla notizia della sua vittoria e che possa trovare consensi in un Congresso dove specie al Senato i voti non ci sono, Boric si sta trovando di fronte a amici e nemici un po’ a sorpresa.
Tra i nemici, in particolare, c’è la Coordinadora Arauco Malleco (Cam) che rivendica l’uso della violenza “come strumento legittimo della nostra lotta, chiunque stia lavorando”. L’organizzazione politico-militare continuerà dunque nella regione dell’Araucania la serie di attentati che ha costretto il presidente uscente Piñera a dichiarare lo stato di eccezione, e che è opera dell’ala radicale di un movimento degli indios mapuche che rifiuta ogni legittimità dell’annessione allo stato cileno in base alla campagna militare del 1860-83, e bolla Boric come un “hippie progre buena onda”. “Radical chic”, è una libera traduzione. Tra gli amici inaspettati c’è invece la coalizione di destra del governo uscente, che ha chiesto un incontro col presidente eletto per potergli dare “informazioni e consigli” e vedere su che collaborare.
Ma, appunto, tra indios arrabbiati e ex pinochettisti sorridenti è spuntato fuori anche l’ex ministro delle Finanze greco, che senza essere sollecitato ha dettato addirittura un intero programma economico. La sua idea è che un governo progressista deve mettere più risorse a disposizione del popolo, aumentando l’indebitamento. C’è però il rischio che i cittadini utilizzino queste risorse per acquistare valuta estera, proprio nel timore che una politica del genere farà crollare il peso. Dunque, i trasferimenti dovrebbero essere fatti non in contanti ma solo con transazioni bancarie, utilizzabili attraverso pagamenti virtuali, tipo carta di credito o pagobacomat.
Ciò un po’ ricorda la carta Postepay del reddito di cittadinanza italiano, con cui si possono pagare alcune cose e non altre. Ma in America latina ricorda ancor di più il “corralito” con cui nel 2001 il ministro dell’Economia argentino Domingo Cavallo cercò di blindare il cambio un dollaro-un peso che lui stesso aveva inventato al tempo di Carlos Saúl Menem per bloccare l’inflazione. L’alto potere di acquisto che dava ai cittadini rese per molto tempo la “dollarizzazione” popolare, nonostante il sistema penalizzasse l’export e consumasse risorse. Per un po’, fu sostenuto con i proventi delle privatizzazioni, in una bizzarra combinazione tra peronismo e thatcherismo. Trascorsi i due mandati di Menem, il cerino rimase in mano al radicale Fernando de la Rúa, che provò a richiamare Cavallo. Questi pensò allora di contingentare i prelievi di contante in banca. In base alla teoria quantitativa della moneta di Fisher, MV=PQ, l’idea era che costringendo gli argentini a pagare con transazioni virtuali si sarebbe potuta aumentare la velocità di circolazione V, in modo da compensare il non aumento di moneta M per esaurimento della capacità di acquistare dollari. Ma in una economia dove quasi metà delle transazioni erano in nero l’effetto fu invece una rivoluzione di piazza, che costrinse il presidente a scappare dal tetto della Casa Rosada in elicottero. “Rivoluzione contro il neo-liberalismo”, fu definita. In realtà è piuttosto evidente che impedire di prelevare i propri soldi in banca ha poco di liberale, e il neo-liberalismo era consistito piuttosto nelle privatizzazioni che avevano sostenuto la dollarizzazione in precedenza, e con cui Cavallo era fortemente identificato. Senza questo retroscena e in un contesto dove la crisi c’era già stata, Varoufakis da ministro in Grecia aveva cercato di creare un sistema di pagamenti paralleli attraverso i codici di imposta, in modo da evitare una fuga di capitali. Ma fu letta come una premessa per tornare dall’euro alla dracma, provocò panico, e terminò con la rottura tra il premier Tsipras e Varoufakis, e il suo licenziamento.
Evidentemente, Varoufakis continua a ritenere che la sua idea era buona. Approfitta dunque dell’arrivo alla Moneda dell’“hippie progre buena onda” per tornare alla carica.