La città di Xi'an è l'incubo di Xi Jinping

A un mese dalle Olimpiadi invernali di Pechino il virus mette a rischio il Sogno cinese

Giulia Pompili

Due anni dopo Wuhan, nuovi lockdown con milioni di persone bloccate. Il controllo orwelliano, la burocratizzazione e la politica "zero Covid". Segnali di fallimento

Una donna incinta all’ottavo mese ha perso suo figlio nel parcheggio dell’ospedale dopo che la sicurezza le aveva negato l’ingresso: il suo test Covid era stato effettuato quattro ore prima, troppe secondo il protocollo di sicurezza. Un’altra donna ha avuto un aborto dopo essere stata rifiutata da due ospedali: il terzo a cui si è rivolta, dopo l’intervento della polizia, non ha potuto far altro che procedere al raschiamento. Un terzo uomo è morto dopo aver aspettato per otto ore che un medico lo visitasse: aveva un infarto in corso. A Xi’an, città della provincia dello Shaanxi nella Cina centrale, 13 milioni di abitanti sono in lockdown dal 22 dicembre scorso. Ci sono stati almeno 1.800 casi di positivi al Covid-19 sintomatici (degli asintomatici non sappiamo niente). E’ il lockdown più lungo in Cina sin da quello di due anni fa a Wuhan. Un incubo che si ripete per i cinesi, che da giorni pubblicano sui social i problemi di un sistema paralizzato, dove la distribuzione dei generi di prima necessità è in difficoltà e tutta la vita di una megalopoli è subordinata alla “guerra al virus”. 

     
In una sorta di diario molto popolare online, Zhang Wenmin, giornalista ex reporter del giornale cinese Caixin, conosciuta con lo pseudonimo di Jiang Xue, si domanda: “Quelli che premono il ‘pulsante pausa’ per questa città, quelli che detengono il potere, hanno mai pensato a come influenzeranno il destino di 13 milioni di persone che vivono qui?”. Ciò che sta accadendo a Xi’an e in altre città cinesi più piccole, come Yuzhou (1,1 milioni di abitanti) è soprattutto l’incubo del presidente cinese Xi Jinping. La spinta autoritaria che fino a qui aveva portato al successo della strategia “zero Covid” – la Cina è l’ultimo paese al mondo ancora convinto di poter “battere” il virus – sta cominciando a scontrarsi con la realtà, fatta di un sistema burocratizzato, cieco, e molto poco trasparente: Xi aveva promesso la vittoria contro la pandemia grazie ai vaccini cinesi. E invece i vaccini cinesi servono a poco, soprattutto contro la variante Omicron.

   
Tra un mese esatto si apriranno i Giochi olimpici invernali di Pechino e le circostanze sono pessime: non è mai stata nemmeno considerata l’ipotesi di rinviarle (come aveva fatto il Giappone due anni fa) e le nuove regole per creare la “bolla olimpica” sono talmente rigide che ci si aspetta molte defezioni o isolamenti – altro che Djokovic: un tampone al giorno, nessun contatto con l’esterno, burocrazia infernale. Nel frattempo, da Xi’an e dagli altri lockdown del paese, due anni dopo l’inizio della pandemia, nell’anno del Ventesimo congresso nazionale del Partito comunista cinese e del consolidamento definitivo e imperituro del potere di Xi, arriva il problema più pericoloso per la leadership del partito unico: il malcontento della popolazione.
  

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.