La missione degli autocrati in Kazakistan
La Russia manda le sue truppe a reprimere le proteste dei kazaki, promette un'operazione rapida che chiama "nel nome della pace". Aumentano gli scontri, i morti, la nazione è in fiamme e Putin e Lukashenka, aiutando Tokayev, cercano di placare anche le loro paure
Il Kazakistan è isolato. Internet funziona a singhiozzo, nessuno esce e nessuno entra, fatta eccezione per le truppe del Csto, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, una Nato dell’est, costituita da Russia, Bielorussia, Armenia, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakistan. E’ la Russia a guidare l’organizzazione, che anche se fondata trent’anni fa, è la prima volta che prende una decisione simile: aiutare uno dei paesi che la compongono per sedare delle rivolte interne. Il Kazakistan non è stato attaccato da nessuna potenza straniera, ma i suoi cittadini, a partire da una rivendicazione economica legata ai prezzi del carburante, hanno portato lo scontro su un terreno politico.
Le rivolte hanno causato le dimissioni del governo e poi quelle di Nursultan Nazarbayev, presidente della nazione fino al 2019 poi passato alla guida del Consiglio di sicurezza. E’ stato l’attuale capo dello stato, Qasim-Jomart Tokayev, a chiedere l’aiuto della Russia contro i suoi cittadini. Ha detto che le manifestazioni sono minacce terroristiche, che dietro ai rivoltosi ci sono potenze straniere, ha chiesto ai soldati di scendere in strada e negli scontri violentissimi sono stati uccisi alcuni manifestanti – non ci sono numeri precisi, si parla di dozzine – e incarcerati centinaia. Anche tra i poliziotti ci sono state vittime e dalle città arrivano racconti di saccheggi, violenze: scene di guerra.
Ieri mattina sono arrivate le truppe del Csto, il premier armeno Nikol Pashinyan, che ha la presidenza di turno dell’organizzazione, ha detto che sarà un’azione limitata nel tempo. Non ha fatto polemica sul fatto che quando era la sua Armenia ad avere problemi con il vicino Azerbaigian nessuno è intervenuto, ma i media armeni lo hanno rimarcato. La Bielorussia di Aljaksandr Lukashenka è ben contenta di mandare i suoi uomini, in Kazakistan sta accadendo quello che il dittatore bielorusso teme da circa due anni.
La Russia ha detto che l’azione durerà poco, ha inviato più di tremila uomini e Putin, quasi quanto Lukashenka, teme che queste rivolte un giorno potrebbero interessarlo. Non ama l’instabilità né in casa né lungo i suoi confini, ma il Kazakistan, come la Bielorussia, non è un territorio post sovietico ostile a Mosca e con questo intervento il Cremlino dovrà stare ben attento a non far fiorire sentimenti antirussi nella popolazione che tenta la rivoluzione e viene repressa. Mosca era pronta a un 2022 da dedicare all’Ucraina, ai suoi rapporti con la Nato, e il Kazakistan che protesta sotto la neve e grida “Oyan, Qazaqstan”, svegliati Kazakistan, ha sovvertito i suoi piani. Non ha interesse che l’operazione duri a lungo, ma tra i nostalgici c’è già chi propone un referendum: se i kazaki stanno male con i loro stessi governanti, se ne vengano con la Russia.
Tokayev dice che i suoi alleati sono stati chiamati per svolgere un’operazione di antiterrorismo su vasta scala. A quest’operazione è stato anche dato un nome, “Nel nome della pace”, Vo imja mira. Tra i manifestanti ci sono anche dei violenti, ma le prima notizie riportate ieri da giornalisti del posto raccontano della polizia, sostenuta dagli uomini del Csto, che apre il fuoco ad Almaty su una folla di giovani disarmati. Per scongiurare le loro paure, Putin e Lukashenka sono andati a reprimere quelle degli altri: un patto nel nome degli autocrati.