Quante bugie
Il partygate e la difficoltà di BoJo ad addomesticare il populismo nel tempo
Lo scandalo delle feste a Downing Street durante il lockdown sta tormentando il menzognero premier ben più delle balle sulla Brexit
“Portatevi l’alcol da casa” è l’ultima frase appiccicata sul cosiddetto partygate, lo scandalo delle feste a Downing Street durante il lockdown che da settimane sta tormentando il premier, Boris Johnson. Il quale avrebbe potuto chiudere la faccenda fin da subito, ammettendo il fatto che queste feste ci fossero state e scusandosi anche, ché il resto del paese poteva vedersi al massimo due persone per volta, stando pure a distanza di sicurezza. Poteva chiuderla subito, una leggerezza in più o in meno, a questo governo così abituato a camminare lungo i bordi, sarebbe forse stata perdonata, e invece no: ha negato. Così da settimane escono immagini, dichiarazioni degli ex che non vedono l’ora di vendicarsi, pettegolezzi di ogni tipo soprattutto sulla first lady, Carrie, e infine un’email con l’invito alla festa, godiamoci questo tempo invero così clemente e portatevi da bere da casa. Il conteggio delle bugie è cominciato: secondo il Guardian sarebbero sette le volte in cui Johnson ha cercato di sviare le domande sulle feste a palazzo o in cui ha detto di non saperne nulla o di non aver partecipato o di essere stato da un’altra parte. E mentre è sotto accusa persino Scotland Yard che non ha voluto fare chiarezza su queste feste sciagurate, mentre sui social rimbalzano le immagini del party assieme alle conferenze stampa del governo sul lockdown, molti iniziano a chiedere: quanto costa una bugia tanto evitabile? E se il premier mente su queste cose, che ne è della credibilità delle misure sanitarie prese dal governo?
Sarah Vine, editorialista del Mail ed ex moglie di Michale Gove, che è un amico-nemico del premier a seconda delle stagioni (questa è una stagione buona), ha scritto un commento divertente e stremato: “A volte le persone fanno delle cose talmente stupide, talmente ottusamente idiote di spettacolare autosabotaggio che si resta senza parole”. Ed è così la Vine, come molti altri, con la mascella a terra che si vorrebbe spaccare la testa contro il muro dalla rabbia di tale idiozia e mentre c’è picchiare anche le teste di questi “stupidi” una contro l’altra. Perché si può sbagliare strategia e visione, si possono prendere decisioni sbagliate o fare calcoli sbagliati, si può peccare di vanità o di presunzione e rovinare un progetto politico, ma perché infilarsi in un partygate? Per di più in un momento delicato come questo in cui l’opposizione al premier viene in modo molto più brutale dai suoi stessi compagni di partito, i Tory: le congiure di palazzo possono funzionare oppure no, ma certo è che offrire il fianco in modo così deliberato e superficiale non aiuta la resistenza del premier. E infatti gli affondi sono arrivati ed è fin troppo semplice colpire, ognuno con la sua ragione: chi pensa che Johnson sbagli tutto con il green pass, chi minaccia di andare al voto di fiducia se le misure restrittive non vengono levate subito, chi dice che questo premier ha da sempre pensato di saper addomesticare il populismo inglese ma élite è ed élite resterà. E via così, di attacco in attacco.
Quel che si dice poco, in questa furia da partygate, è che certo, la credibilità di Johnson precipita a ogni rivelazione, ma pur sempre di un aperitivo all’aperto si tratta. Nell’addomesticare il populismo, le cose a Johnson (e agli inglesi) sono andate peggio con la Brexit per dire, anche quella frutto di una serie di bugie, ben più di sette. Si disse che era facile, si disse che era quasi dovuta, la Brexit, e ora siamo di nuovo alle minacce tra continente e isola, perché l’accordo di divorzio non sta andando granché bene e i costi cominciano a essere ingenti. Ci sono bugie più bugie di altre, insomma, l’autosabotaggio invece è lo stesso.