Quello che Putin non capisce della Nato spiegato con Kanye West

Micol Flammini

C’è una correlazione tra il fatto che il Cremlino non voglia incontrare il rapper americano e la poca volontà di ascoltare l'Alleanza atlantica che dice: lavoriamo sulla fiducia. Il presidente russo ormai evita tutto ciò che non conosce, ma così perde molte occasioni. Eccole

Il viaggio a Mosca del rapper americano Kanye West, con aspirazioni da Casa Bianca e trascorsi trumpiani, continua a essere una vicenda ancora poco chiara. Non si sa se andrà, se ha mai desiderato andare, se davvero abbia manifestato la voglia di incontrare il presidente russo Vladimir Putin. Ma prima che la faccenda abbia avuto il tempo di chiarirsi, il Cremlino ha già detto che di incontrare West, ora Ye, non ha intenzione. Le motivazioni sono che non ha familiarità con il lavoro del rapper e sicuramente non lo conosce “in modo così profondo da esprimere giudizi”. Con Kanye West, il Cremlino si è comportato come con tutto il resto. Che si tratti di un rapper americano o di un trattato sugli armamenti, poco cambia. Putin non vuole conoscere quello che non conosce già, rimane nella sua zona di comfort e allontana anche occasioni  importanti pur di non uscirne. 

 

E’ una settimana densa per la diplomazia russa, Mosca è impegnata in una serie di incontri che hanno a che fare con la costruzione di una nuova architettura per la sicurezza internazionale. Lunedì i russi hanno incontrato gli americani, mercoledì il Consiglio Nato e ieri i membri Osce. Al centro delle discussioni c’è l’Ucraina, o meglio: le linee rosse che secondo Mosca la Nato non dovrebbe accettare per non minare la sicurezza russa. Vuole certezze sul fatto che l’Ucraina, la Georgia e la Finlandia non entreranno mai nell’Alleanza atlantica. La Nato, che secondo diversi commentatori non ha alcuna intenzione di lasciar entrare Kiev, ha però tenuto il punto con i russi. Ha detto che  non chiuderà la porta a nessun futuro membro, ma ha invitato Mosca a restaurare la fiducia con una serie di colloqui che dovrebbero affrontare temi quali le esercitazioni militari provocatorie, il controllo degli armamenti e i limiti reciproci al dispiegamento dei missili.

 

Segnando un punto importante contro le minacce russe, la Nato ha però aperto uno spiraglio per Putin, lo ha invitato a trattare, discutere, a sedersi al tavolo con le potenze militari che contano. Non deve nascerne un’alleanza, ma si possono porre le basi per un dialogo  tra l’occidente e la Russia, dal quale il Cremlino ha molto da guadagnare. Certo, non era questa la risposta che cercava la Russia da questi incontri, eppure è la miglior reazione da parte della Nato che avrebbe potuto avere. Ma non l’ha accolta né con trasporto né con interesse. Non ha alzato i toni – Mosca e i suoi funzionari continuano a dire che non hanno intenzione di attaccare l’Ucraina – ma ha sottolineato quanto sia complicato capirsi con l’Alleanza atlantica.  Ma per capirsi, bisognerebbe conoscersi.  

 

Putin negli ultimi anni ha dimostrato di non amare quello che non conosce, anche nei rapporti internazionali. Predilige mantenere relazioni  con autocrati e dittature,  come la Bielorussia o  il Kazakistan. Dialogare con i capi di stato delle potenze più importanti sembra per lui sempre più complesso. Neppure il dialogo con la Cina decolla, con grande sollievo da parte degli americani. Ma questo restare rinchiuso in un’area di influenza risicata anche se comoda  sta rendendo il ruolo della Russia sempre più marginale. Per farsi sentire non le restano che le minacce. Da quando è uscito dal G8, Putin ha iniziato a contare sempre meno, e adesso potrebbe non accorgersi della grande occasione che gli sta offrendo la Nato. Il rischio è che non sentendosi a suo agio con i leader occidentali quanto con il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka – che lo corteggia, gli chiede denaro e sostegno e lo trascina in guai internazionali come il traffico dei migranti verso l’Ue – dirà di no: non ci conosciamo abbastanza. Perderebbe un’opportunità per tornare a essere importante. 

 

Anche con Kanye West ha perso un’occasione. Il presidente russo sa che se ci sono dei russi che iniziano a non sopportarlo più sono i più giovani. Forse trascorrere un’ora con il rapper americano, conoscerlo, gli avrebbe potuto fare bene a livello di popolarità. Sono i ragazzi ad averlo chiamato il “nonno nel bunker”: portarci Ye, in  quel bunker, sarebbe stato un modo per cercare di uscirne. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)