I piani di Mosca per una operazione false flag nell'Ucraina orientale

Micol Flammini

Secondo Wasghington, Russia fabbrica  il casus belli  per invadere Kiev. La settimana della diplomazia è finita con il Cremlino che non vuole più negoziare, con gli attacchi informatici contro le autorità ucraine e con la paura di una guerra che si fa più forte

Roma. La settimana della diplomazia russo-americana si è conclusa con la decisione da parte di Mosca di interrompere i negoziati, con un attacco informatico contro le  autorità ucraine e con l’annuncio da parte degli  Stati Uniti dei piani di Mosca per creare un pretesto per invadere l’Ucraina. 

 

I colloqui della Russia con la Nato e l’America che si sono tenuti questa settimana erano stati voluti proprio da Mosca che aveva presentato all’Alleanza la lista delle linee rosse da rispettare per non minare la sicurezza russa. La Russia dice di sentirsi attaccata, di dover schierare i suoi uomini ai confini con l’Ucraina perché la Nato non fa che espandersi. Le proposte di Mosca comprendono, tra le altre cose, anche l’impegno a non lasciar mai entrare nell’Alleanza Ucraina, Georgia e Finlandia. La Nato ha risposto che non è possibile ma ha proposto di continuare il dialogo su altri argomenti come il dispiegamento di missili. Il presidente Vladimir Putin e i suoi funzionari hanno fatto sapere che ormai non c’è più nulla da dirsi e Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri  al quale ormai spetta il compito di fare conferenze stampa minacciose e deliranti, ha detto che la Russia attende una risposta scritta da parte della Nato riguardo alle richieste russe entro una settimana. Cosa potrebbe accadere se la risposta non arriverà non l’ha esplicitato, ma è questo il punto: la Nato ha detto che le richieste della Russia sono inaccettabili, ora sta alla Russia replicare e ci si domanda fino a che punto vorrà spingersi. Finora gli indizi sono due e ricalcano le due principali preoccupazioni di Kiev: attacchi informatici o militari. 

 

Ieri un attacco informatico ha bloccato per alcune ore vari siti istituzionali ucraini, su alcuni compariva un messaggio che invitava i cittadini a prepararsi al peggio. Le autorità di Kiev  per il momento non hanno detto che la colpa è di Mosca ma hanno ricordato che la storia degli attacchi hacker russi in Ucraina è molto lunga. In Russia, con un tempismo sospetto, i servizi segreti hanno detto di aver smantellato il gruppo REvil responsabile di un grave attacco ransomware contro la società americana  Kaseya. Era stato il presidente  Joe Biden a chiedere a Putin di agire. 

 

Al termine di questa settimana in pochi rimangono ottimisti su quello che accadrà tra Russia e Ucraina, ma la notizia più importante l’hanno data gli Stati Uniti. Le informazioni americane parlano di una false flag operation: agenti russi disposti sul territorio ucraino per un’operazione nell’Ucraina orientale, soldati addestrati all’uso di esplosivi e alla guerriglia urbana  per compiere azioni di sabotaggio contro forze russe. Mosca ha bisogno di un casus belli e secondo l’intelligence americana se lo starebbe fabbricando. Queste attività avrebbero dovuto iniziare tra fine gennaio e inizio febbraio. Le autorità russe non hanno commentato. Attaccare l’Ucraina, per Mosca, non sarebbe dispendioso soltanto dal punto di vista militare, ma molto costose sarebbero le risposte da parte dell’occidente che la Russia dovrebbe affrontare. Gli Stati Uniti e l’Unione europea lavorano a un nuovo pacchetto di sanzioni, a Mosca c’è chi teme che potrebbe essere sanzionato lo stesso Putin. Creare il pretesto sarebbe un modo per rendere l’invasione ineludibile. Quando si parla di false flag operation ci sono  due precedenti  che possono venire in mente. Il primo è l’incidente di Gleiwitz, inscenato dai nazisti per invadere la Polonia. L’altro, meno noto, è l’incidente di Mainila, quando i sovietici bombardarono il villaggio russo, diedero la colpa ai finlandesi e iniziarono la guerra d’inverno. 

 

Da sette anni la Russia occupa l’Ucraina orientale e finora ha negato di aver mai aiutato i separatisti filorussi, ma ha  dato  loro la possibilità di avere un passaporto russo. Creando così  le condizioni per essere chiamata a difendere i suoi cittadini in caso di pericolo. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)