Bombe su Abu Dhabi
I droni degli Ansar Allah yemeniti (appoggiati dall'Iran) contro gli Emirati Arabi Uniti: tre petroliere colpite. Sei giorni fa l'avvertimento
Ieri mattina gli Ansar Allah yemeniti, che in arabo vuol dire: i Partigiani di Dio (chiamati spesso anche: Houthi), hanno attaccato il porto di Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti con tre droni esplosivi. Hanno ucciso tre persone, due indiani e un pachistano, hanno colpito tre petroliere e appiccato il fuoco a una parte in costruzione del porto, spento quasi subito. I droni esplosivi sono ormai un’arma comune nell’area. Usati da soli o assieme a missili sono capaci di percorrere centinaia di chilometri e di portare contro il bersaglio decine di chilogrammi di esplosivo, abbastanza per fare danni gravi soprattutto se, come in questo caso, sono lanciati contro obiettivi civili. Abu Dhabi è un porto emiratino che fino a ieri era sulle mappe del turismo internazionale e non una zona di guerra. E’ il primo attacco degli Ansar Allah contro gli Emirati dal 2018 e senz’altro il più duro.
L’operazione dei Partigiani di Dio può essere letta in due modi. C’è una lettura locale, perché gli Emirati Arabi Uniti fanno parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita che appoggia le forze yemenite nella resistenza contro i Partigiani stessi, che da sette anni tentano di sottomettere l’intero Yemen. Fino al mese scorso erano sul punto di riuscirci, perché stavano per prendere con la forza due province-chiave. Sono Marib e Shabwa e avrebbero dato loro la vittoria nella guerra civile e il controllo definitivo su tutto il paese. La battaglia per Marib va avanti da undici mesi e i Partigiani di Dio sono arrivati a cinque chilometri dalla capitale della regione, quindi vicinissimi alla vittoria. Ma le forze di terra yemenite, incluse le al Amaliqah appoggiate dagli Emirati – al Amaliqah: i giganti – sono riuscite a ricacciare indietro gli Ansar Allah e ad allontanare l’assedio. La rivendicazione dell’attacco con i droni fatta dai Partigiani di Dio cita proprio quest’appoggio come causa scatenante e cita anche la cattura di una nave degli Emirati del 3 gennaio come “risposta legittima” all’interferenza emiratina in Yemen.
C’è anche una lettura più generale. Gli Ansar Allah fino a dieci anni fa erano un movimento marginale confinato sulle montagne senz’acqua del nord yemenita. In questi anni sono diventati una minaccia internazionale che manovra missili e droni grazie all’appoggio dell’Iran, che li ha integrati in quell’assortimento di milizie che, dalla Siria all’Iraq al Libano alla Striscia di Gaza, combatte un po’ per fini suoi e un po’ come se fosse emanazione diretta della politica estera dell’Iran. Giovedì 13 il canale telegram dal quale le milizie irachene rivendicano gli attacchi contro le basi militari americane, Sabereen News, ha anticipato in modo esplicito l’attacco contro gli Emirati.
Cinque giorni dopo l’attacco è arrivato, a dimostrazione che il fronte filoiraniano come minimo si scambia informazioni e piani. Le milizie dell’Iraq sono furiose con gli Emirati, li accusano di avere interferito nelle elezioni irachene che loro hanno perso in malo modo. In breve: miliziani iracheni e yemeniti sono felici quando droni esplosivi colpiscono Abu Dhabi. Fonti israeliane sui media parlano di dieci droni e ricordano l’attacco devastante contro la raffineria saudita di Abqaiq nel 2019. Queste operazioni hanno anche una natura di messaggio nel duello tra Iran e regni sunniti del Golfo, sebbene diplomatici di entrambe le parti si stiano incontrando con frequenza. Nel frattempo, a Vienna gli iraniani sono impegnati in quelle che potrebbero essere le ultime due settimane di negoziati per riportare in vita l’accordo atomico del 2015.