Il caso Moby ci riporta alla svolta pro Cina di Grillo. Un'indagine
Fino al 2018 il blog di Grillo ospitava molti interventi, firmati spesso dal comico in persona, contro il regime cinese. Poi il cambio di rotta. Cos'è successo?
Non solo Moby. I contratti sottoscritti dalla compagnia di navigazione con il sito di Beppe Grillo, quelli con la Casaleggio e Associati e l’eventuale apertura a modificare e aggiustare, in modo poco trasparente, la linea politica del Movimento cinque stelle in base a quei finanziamenti aprono a ulteriori interrogativi. Resta infatti ancora oscura l’improvvisa svolta del capo politico del M5s da falco anticinese a fervente sostenitore di tutta la propaganda di Pechino.
Fino al 2018 il blog di Grillo ospitava molti interventi, firmati spesso dal comico in persona, contro le violazioni dei diritti umani, “sull’occupazione del Tibet censurata dalle tv”, sulla minoranza turcofona degli uiguri, che Pechino sta cercando di reprimere “e cancellare” dalla regione dello Xinjiang, e infine sul “vassallaggio” di certi politici che si piegano alle pressioni cinesi – nel 2012 Grillo chiama il sindaco di Milano “Pisapippa”, “neomaoista meneghino”, perché non ha concesso la cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Poi i Cinque stelle vanno al governo e tutto cambia: iniziano le visite di Grillo all’ambasciata cinese a Roma, la difesa del Memorandum sulla Via della Seta e delle operazioni delle aziende cinesi in Italia. Ben prima della svolta atlantista di Luigi Di Maio, tutto il Movimento cinque stelle aderisce a questa idea e la Cina viene magnificata in ogni occasione pubblica. Grillo si spinge fino alla negazione della repressione degli uiguri nello Xinjiang, e lo fa ufficialmente con un ambiguo documento/appello pubblicato nel giugno del 2021 sul blog dal titolo “Per un’iniziativa di pace”, firmato pure dal senatore Vito Petrocelli.
Il sospetto è legittimo. Secondo numerose analisi, ricercatori, blogger, personalità politiche (magari senza incarichi istituzionali) e perfino youtuber sono i target internazionali dei dipartimenti di propaganda del governo cinese. Diversamente dalla propaganda del Cremlino, che finanzia specifici settori della ricerca accademica e dei media, Pechino usa il cosiddetto metodo della “pesca a strascico”: finanzia chiunque abbia voglia di portare avanti le sue istanze. Il pattern si riconosce benissimo, perché i temi affrontati da chi finisce nella rete da pesca (e che lo faccia perché ci crede davvero o per soldi non importa) sono sempre gli stessi, con lo stesso linguaggio e le stesse argomentazioni.
Alexander Reid Ross, docente universitario e ricercatore sui temi dell’estrema destra, che scrive su Bellingcat e Rantt – insomma, uno che di professione si occupa di analizzare dati, propaganda e disinformazione – ha pubblicato su New Lines una lunga inchiesta dal titolo: “Il grande affare della negazione del genocidio degli uiguri”. Negli ultimi cinque anni quasi 65 milioni di dollari sarebbero passati attraverso una rete di enti di beneficenza e attivisti – quasi tutti nell’orbita dell’estrema sinistra – per farli schierare dalla parte di Pechino sulle accuse di violazione dei diritti umani e genocidio. Questo complesso e quasi invisibile sistema di finanziamento “fa capo al magnate tecnologico americano di 67 anni Neville Roy Singham”, scrive Ross, fondatore ed ex presidente del colosso dei software Thoughtworks. Singham, di origini cubane e srilankesi, ha lavorato per anni per la cinese Huawei, ed è sposato con Jodie Evans, fondatrice di Code Pink, una ong di donne progressiste contro “l’America imperialista” e pro Cina. “Contrapporre gli Stati Uniti virtualmente irredimibili alla Cina innocente e assediata è diventato una specie di pilastro narrativo la sinistra antimperialista in America. Apparentemente radicata nell’ideologia, questa linea di pensiero è anche incredibilmente ben finanziata”, scrive Ross. Code Pink e le sue associazioni filantropiche collegate, spiega l’indagine, sostengono il movimento “La Cina non è nostra nemica” e negano la repressione degli uiguri. A luglio, su Haaretz, Ross si è occupato anche del report di Beppe Grillo sullo Xinjian e delle sue conseguenze internazionali: dai legislatori pro Pechino di Hong Kong agli animatori del blog di estrema sinistra Grayzone, in molti hanno “accolto a gran voce il report, i complottisti, gli amanti degli autocrati e gli antimperialisti”. E i funzionari cinesi, naturalmente.
Cosa c'è in gioco