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L'attesa di Kiev dopo l'incontro tra Blinken e Lavrov

Micol Flammini

A Ginevra il segretario di stato americano e il ministro degli Esteri russo non hanno fatto passi avanti. Sull’Ucraina la diplomazia si è bloccata, ma alle sue spalle si muovono truppe, aerei e navi 

L’incontro a Ginevra tra il segretario di stato americano, Antony Blinken, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, è durato un’ora e mezza. Il tempo necessario per non prendere nessuna decisione e per dirsi: ne riparliamo la prossima settimana. Blinken e Lavrov hanno stabilito che Stati Uniti e Nato manderanno alla Russia, come ha chiesto, una risposta per iscritto riguardo alle sue richieste sulla sicurezza che includono anche la pretesa che l’Ucraina non entrerà mai nell’Alleanza atlantica. Washington e gli alleati hanno già detto che non intendono soddisfare le domande di Mosca, ma riservandosi il tempo di mettere una risposta su carta, la diplomazia guadagna altro tempo. Ne hanno bisogno sia gli alleati, che faticano ancora a trovare una strategia comune, sia i russi, i quali invece attendono che il Cremlino decida cosa vuole fare: attaccare l’Ucraina o no. Dietro alla diplomazia, però, si muove tutto il resto, a cominciare dalle manovre militari russe. 

Mosca sta aumentando il numero di soldati e mezzi militari al confine con l’Ucraina. Secondo gli ultimi dati forniti da Kiev, avrebbe dispiegato più di 106 mila uomini e tra loro ci sono anche unità di assalto. Oltre alle truppe, da fine dicembre, la Russia ha iniziato a spostare carri armati, scorte di munizioni, anche ospedali da campo,  ha schierato  36 lanciamissili Iskander e spostato alcune navi a sud del Mar Nero. Negli ultimi giorni ha inviato altre forze in Bielorussia. Il dittatore di Minsk, Aljaksandr Lukashenka, ha detto che la sua nazione si appresta a condurre esercizi militari assieme a Mosca e in questo modo ha lasciato campo libero all’esercito russo di posizionarsi lungo un altro confine con l’Ucraina, quello bielorusso. Se volesse attaccare, il Cremlino sarebbe pronto a farlo e potrebbe prendere fino a due  terzi del territorio ucraino. Ma la domanda rimane la solita: lo vuole davvero? Questa settimana il Partito comunista russo ha chiesto di riconoscere Donetsk e Lugansk, le due repubbliche separatiste filorusse del Donbass, la regione orientale dell’Ucraina dove da sette anni c’è la guerra. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha detto che una decisione del genere in questo momento porterebbe a un’escalation. Anche Lavrov ieri ha detto che Mosca non invaderà l’Ucraina, che è solo isteria, ma ci si chiede a cosa servano questi spostamenti dispendiosi di uomini e mezzi militari se non ad attaccare Kiev. 

  

Anche gli alleati hanno incominciato a muoversi al di fuori dei rapporti diplomatici ed è cresciuto il numero dei paesi che ha deciso di inviare armi all’Ucraina. Il Regno Unito ha aperto la strada, ed è stato seguito dalla Polonia, dai Paesi baltici, dalla Spagna. Anche i Paesi Bassi ne stanno parlando. Ma finora gli alleati non agiscono come un gruppo unico contro la minaccia della Russia, ognuno ha messo l’Ucraina in punti diversi nella lista delle priorità. A cominciare dal presidente americano Joe Biden, che dopo aver detto di essere sicuro che la Russia attaccherà l’Ucraina ha lasciato intendere che la risposta americana dipenderà dal grado di escalation: se basso potrebbe rimanere impunito. Putin attende,  e intanto manda le sue armi in giro per il mondo e  organizza esercitazioni militari con altri regimi come Cina e Iran.  

Il prezzo di una guerra in Ucraina sarebbe alto per Kiev e per Mosca, ma le ripercussioni si sentirebbe ovunque. Michael Cruickshank, analista esperto di guerre e crisi umanitarie, ha spiegato che anche i prezzi dei generi alimentari, già in crescita, aumenterebbero e sarebbe una crisi che andrebbe ad aggiungersi a quella dell’energia. Molto del grano usato dall’industria alimentare viene dalle zone orientali dell’Ucraina, quelle che sarebbero interessate dal conflitto.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)