la crisi al confine
Cosa può fermare Putin in Ucraina?
Tra le ipotesi ci sono il riconoscimento delle repubbliche separatiste e le truppe di Mosca già in Bielorussia. Due vie di fuga e un calendario
Ucraina, Stati Uniti e Nato sembrano avere ormai idee diverse su come andranno le prossime settimane. Se gli alleati e Washington sono sempre più convinti che l’attacco di Mosca arriverà presto, funzionari della Difesa ucraini negli ultimi giorni hanno detto che le condizioni delle truppe russe e la loro disposizione non lasciano pensare a un attacco imminente su vasta scala, piuttosto temono attacchi hacker, guerra psicologica, danni alla rete idrica ed elettrica, incursioni nella regione del Donbass dove da otto anni l’esercito regolare ucraino combatte contro i separatisti filorussi aiutati da Mosca.
Tutti aspettano di capire quale sarà il prossimo passo del presidente russo, Vladimir Putin. Sarà in avanti o indietro? “Putin deve fare qualcosa”, ha detto la scorsa settimana Joe Biden quasi esasperato durante una conferenza stampa, e questo Putin immobile, che rimanda la mossa decisiva, sta spiazzando le strategie occidentali, meno gli ucraini che per il futuro hanno previsto uno scenario di guerra molto simile a quello che vivono da anni, ma non per questo meno spaventoso. La Russia, con la scusa di dover preservare la propria sicurezza, ha alzato la tensione fino a finire davanti a un muro, o lo abbatte o torna indietro.
Dall’altra parte ha trovato gli americani e gli alleati non disposti a cedere. La Nato ha schierato le sue truppe lungo i confini orientali come non accadeva dal 2014, gli ucraini guardano quello schieramento sapendo che a loro, in caso di attacco, non sarà utile. Il giornalista della Novaya Gazeta, Valeriy Shiryayev, ha fatto uno scoop importante: ha scoperto che con i mezzi che Mosca sta spostando non viaggiano vertici militari, solo team logistici, inoltre se stesse pianificando un attacco, Mosca nasconderebbe i suoi movimenti, invece sono ben visibili. Forse il Cremlino non fa sul serio, un passo avanti avrebbe costi ingenti per la Russia, ma la domanda che in questo momento di immobilità si fa più assillante è a che costo Putin potrebbe fare un passo indietro. E soprattutto: è in grado di farlo?
Dopo aver mobilitato il suo esercito, la ritirata dovrebbe essere architettata in modo tale che il presidente russo possa dire: nessuno ha vinto ma io non ho perso. Putin ha bisogno di un annuncio, una vittoria a parole, una via di uscita. Il Partito comunista potrebbe avergliene offerta una, proponendo il riconoscimento delle autoproclamatesi repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, un’opzione che il Cremlino aveva escluso soltanto pochi giorni definendola rischiosa. Economicamente non sarebbe vantaggioso, ma sarebbe un argomento di facile propaganda.
La Russia ha iniziato a muovere un numero massiccio di uomini e mezzi verso la Bielorussia, con la scusa delle esercitazioni militari che si terranno a febbraio. Le sta schierando lungo il confine con l’Ucraina e vista la dipendenza economica e militare di Aljaksandr Lukashenka, dittatore bielorusso, potrebbero rimanere lì anche oltre le esercitazioni che dovrebbero concludersi il 20.
Il 27 febbraio a Minsk si terrà un referendum costituzionale, una nuova truffa elettorale di Lukashenka che potrebbe volere la permanenza delle truppe russe per evitare che si crei una situazione simile al Kazakistan di qualche settimana fa. Sta offrendo una via di fuga a Putin, che potrebbe barattare un’azione militare contro l’Ucraina con la presenza in Bielorussia, a due passi dai paesi Nato e da Kiev.