In Africa prende forma un blocco politico golpista
Nella parte occidentale del continente le giunte militari stanno imponendosi senza ostacoli
Lo scorso novembre decine di jihadisti a bordo di moto e fuoristrada hanno attaccato i militari che il governo del Burkina Faso aveva disposto a protezione della grande miniera d’oro di Inata, nel nord del paese, a pochi chilometri dal confine col Mali. Il bilancio dell’attentato è stato di 57 morti: 4 civili e 53 gendarmi. E’ stato uno dei peggiori attacchi terroristici mai subìti dal Burkina Faso, e per questo ha suscitato forti malumori nella popolazione, già stremata dall’insicurezza e impaurita dalla recente ascesa del terrorismo islamista nell’area. Pochi giorni dopo l’attentato, il capo del governo Roch Kaboré ha deciso di promuovere un suo tenente colonnello, Paul-Henri Sandaogo Damiba, e nominarlo comandante della terza regione militare del Paese. Oggi, a distanza di soli due mesi, il neopromosso Damiba ha condotto un golpe militare, sospeso la costituzione, sciolto il governo, chiuso i confini e arrestato il presidente Kaboré, cioè proprio l’uomo che lo aveva promosso. Damiba era incaricato soprattutto di gestire le operazioni anti-terrorismo, quindi del contenimento del pericolo jihadista. La promozione lo aveva reso il capo delle operazioni nella terza regione militare del paese – quella che comprende i territori della capitale Ouagadougou e delle circostanti Koudougou, Manga e Fada N’Gourma – ma ha usato questo potere per prendere il controllo dell’intera nazione. I militari sono apparsi in tv, dove hanno annunciato di aver istituito un governo provvisorio guidato dal Movimento patriottico per la salvaguardia e la restaurazione, presieduto ovviamente dallo stesso Damiba, di fatto il nuovo dittatore, quarantunenne, del paese.
Soltanto due settimane fa il presidente Kaboré (che al momento è in stato d’arresto e su cui arrivano notizie difficili da verificare) partecipava a un vertice regionale pensato appositamente per imporre nuove sanzioni economiche ai golpisti del vicino Mali. Oggi che anche Kaboré è stato deposto da un golpe militare, però, il territorio dell’Africa occidentale in cui comandano i militari si allarga pericolosamente. Dalla Guinea fino al Mali e giù fino al confine orientale del Burkina Faso oggi il terreno governato dalle giunte militari si estende per quasi 1.500 chilometri. Per non parlare del Ciad e, più a est, del Sudan. Come scrive Danielle Paquette sul Washington Post, “questo crea un potenziale blocco politico golpista”. Se da una parte è lo scontento popolare – sospinto dall’avanzata jihadista e da massacri come quello di Inata – a funzionare da carburante per i colpi di stato, dall’altra ci sono rassicurazioni politiche che i militari ricevono da parte di potenze estere. Potenze che nella regione del Sahel e dell’Africa occidentale lavorano per approfittare del caos e riuscire così a espandere la propria influenza. Soprattutto la Russia. I colpi di stato nell’area sono almeno quattro, tutti avvenuti negli scorsi diciotto mesi. Si tratta di rovesciamenti di potere con cui i paesi della regione voltano le spalle alle alleanze storiche, come quella con la Francia, che in Burkina Faso e in tutto il Sahel guida l’operazione Barkhane, che esiste proprio per contenere l’avanzata jihadista.
Ma torniamo al blocco politico golpista che prende forma. “I leader golpisti tendono a rimanere uniti, specialmente di fronte alle sanzioni da parte dei loro tradizionali alleati”, dice Aanu Adeoye, analista del think tank londinese Chatham House, che aggiunge: “Se non ricevono aiuto dai francesi, per esempio, c’è un gruppo di mercenari russi in attesa”. Insomma, al netto dello scontento e dell’instabilità interna di questi paesi, che è comprensibile perché il terrorismo fa migliaia di morti e milioni di sfollati, è la disponibilità di un supporto esterno a rendere efficaci e di successo i colpi di stato nella regione. Mosca si propone ormai ai governi africani come un’alternativa alle alleanze occidentali, ed è una mossa politica che sta avendo successo: per le strade della capitale Ouagadougou, non a caso, nei giorni prima del golpe si bruciavano bandiere francesi e si sventolavano quelle russe. Peccato che il pacchetto di aiuti proposto dal Cremlino preveda, soprattutto, l’impiego di milizie private come la Wagner, ormai famosa per omicidi, torture e stupri ai danni delle popolazioni locali. Damiba dovrebbe saperlo, d’altronde è lui l’autore del libro intitolato “Eserciti in Africa occidentale e terrorismo: risposte incerte?”. Incerte, appunto.