Lo spirito ucraino esiste o la gente si adatterebbe all'occupazione?
Il movimento "No alla capitolazione!" è la frangia dei più duri che vuol far cadere il governo di Kiev in caso di accordo con Mosca
Kiev, dal nostro inviato. Incontriamo il leader del movimento “No alla capitolazione!” in un vecchio palazzo elegante di Kiev. E’ un palazzo che è da quasi vent’anni il cuore delle proteste in Ucraina – è nelle sue stanze che è nata la rivoluzione arancione del 2004, è qui che è nata anche la rivoluzione del 2014 a piazza Indipendenza, dista tre chilometri – che fece cadere il governo filorusso ed è qui che si prepara la prossima ondata di proteste di massa, se sarà necessaria. Il leader è Andrii Levus, quarantenne rasato male, ex insegnante di Storia, ex attivista della rivoluzione otto anni fa, ex vicedirettore dei servizi di sicurezza, finito sulla lista dei terroristi compilata dalla Russia. No alla capitolazione!, il suo movimento, non è puntato contro la Russia o per essere più precisi: è puntato contro la Russia ma è puntato anche contro la parte di Ucraina che è tentata di trattare con i russi e di fare concessioni in cambio di tranquillità. E’ la frangia dei duri che vuole evitare la tentazione di un accordo con Putin. E questa è la questione centrale nello stato di quasi guerra che oggi si vive in Ucraina, con centomila soldati russi ammassati al confine in attesa dell’ordine di invasione. Lo spirito ucraino esiste? Una popolazione che ha fatto parte per decenni dell’Unione sovietica e quindi era assuefatta a considerarsi come un pezzo di una costellazione con al centro Mosca e che fino al 2014 viveva sotto un governo filo Russia – al punto che al ministero della Difesa e nei servizi segreti c’erano ufficiali russi ai posti chiave – davvero vorrebbe fare la guerra ai russi se Putin decidesse di occupare il paese?
La popolazione combatterebbe in nome di cosa? Per non tornare a essere com’era soltanto otto anni fa? Non sarà, ed è sempre parte della stessa domanda, che vediamo soltanto gli ucraini che proclamano di essere pronti a diventare partigiani contro i corazzati russi e non vediamo una massa di ucraini che invece non ha nessuna voglia di un conflitto? Levus dice due cose. La prima è che la percentuale di ucraini “pronta a resistere a un’offensiva russa” è del settanta per cento secondo i sondaggi e che la percentuale di chi è d’accordo con l’adesione alla Nato è del sessanta per cento. Non c’è una maggioranza silenziosa che vorrebbe adeguarsi e pazienza se si tratta di tornare sotto il controllo della Russia, sostiene. La seconda è che sarebbe infantile parlare come prima cosa di una guerra partigiana contro i russi, siamo nel 2022, le cose non funzionano così. Lui non pensa a una guerriglia contro forze d’occupazione, lui pensa (e organizza) a campagne d’informazione e a una seconda rivoluzione del Maidan nel caso i russi instaurino con la forza un governo fantoccio a Kiev.
La rivoluzione del Maidan fu un movimento civile e popolare di protesta che nel 2014 grazie alla spinta di centinaia di migliaia di persone rese impossibile per il governo filorusso continuare a stare in piedi. Levus pensa che se ci fosse un governo filorusso oppure se il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, si mettesse d’accordo con la Russia allora ci sarebbe una seconda Maidan e nel secondo caso “Zelensky cadrebbe giù ancora più veloce che otto anni fa”. Facile a dirsi qui a Kiev, nella culla storica delle sollevazioni ucraine, ma magari non è così in altre zone dell’Ucraina, chiediamo. Scuote la testa. I membri più attivi del suo movimento vengono dall’est del paese, che in teoria è quello più vicino ai russi. Alcuni vengono dalle regioni di Lugansk e Donetsk, in particolare dalle aree che l’esercito ucraino ha liberato in questi anni dal controllo dei separatisti filorussi. L’appoggio, sostiene, è trasversale in tutto il paese. Spiega che lo sforzo maggiore adesso è concentrato sull’informazione, che è il campo di battaglia in questo momento più agitato fra ucraini e russi.
Poi dal punto di vista logistico si stanno ricostituendo le reti del Maidan, piccoli gruppi di attivisti che imparano a fare le stesse campagne e allo stesso tempo anche se non si conoscono fra loro e anche in altre città del paese oltre alla capitale. Parla da una stanza che è stata riadattata a studio televisivo per produrre video che sono trasmessi sui social. “Say no to Putin!”, dicono i salvaschermo dei computer. Se tutto questo non bastasse, dai piccoli gruppi che si occupano d’informazione si passerebbe un giorno alla resistenza armata, ma nessuno ha voglia di distruggere il paese. Dalle proteste, dice, si arriverebbe a far saltare i mezzi di trasporto truppe dell’esercito russo. Domanda: stiamo parlando di centinaia, di migliaia o di decine di migliaia di uomini? Trecentomila ucraini hanno già combattuto nell’est contro i russi, alla rivoluzione di Euromaidan ha partecipato più di un milione di persone, ci sarebbero da aggiungere almeno altri centomila volontari, risponde. Finisce l’incontro, di là in un’altra stanza c’è una riunione con membri del Pravy Sektor, formazione di estrema destra. Dobbiamo parlare con tutti, dice. “Alla nostra ultima campagna virale per dire che l’Ucraina resiste, il secondo ad aderire è stato il capo della comunità ebraica”. L’intervista è tradotta da un collaboratore con la barba bianca, che al momento di accomiatarsi dice di avere imparato l’inglese quando era ufficiale dell’esercito ed era stato mandato all’accademia militare di Sandhurst, una delle più prestigiose del Regno Unito, più di vent’anni fa.