Ue a sovranità limitata, fra transizione e dipendenza energetica
Il nostro continente si è scoperto ancora una volta completamene vulnerabile dal punto di vista energetico
Cinquanta anni dopo le crisi degli anni ’70 che videro i prezzi del petrolio moltiplicarsi per 10 e l’ Europa scoprirsi completamene vulnerabile dal punto di vista energetico, il nostro continente si trova esattamente nella stessa situazione. Al posto dell’ Opec degli sceicchi c’è la Russia di Putin, da cui dipende il 40 per cento del gas consumato in Ue. Senza di esso l’ Europa è in ginocchio. Ma è in ginocchio anche la Russia il cui pil e la cui bilancia commerciale presentano come unico importante attivo le esportazioni di gas e petrolio. Nell’occhio del ciclone sta come al solito il nostro paese, la cui dipendenza energetica totale raggiunge il 90 per cento con un buona quota costituita dal gas russo.
Un’analoga difficoltà riguarda stavolta anche la Germania, che ha alzato ancora una volta l’asticella degli obbiettivi della transizione energetica con l’ impegno a chiudere pressoché immediatamente gli impianti nucleari ed entro il 2030 quelli a carbone. Facendo per di più pressione sulla Commissione per escludere dalla tassonomia europea l’energia nucleare che ancora oggi assicura la soddisfazione del fabbisogno elettrico europeo per un buon 25 per cento. L’unico, insieme alle rinnovabili, non generato dai combustibili fossili. Con l’avvertenza che comunque né il nucleare né un forte e auspicabile sviluppo delle rinnovabili risolvono il problema. L’elettricità è solo il 20 -25 per cento dei consumi energetici totali e gas e petrolio servono a soddisfare la restante parte. Per il momento quindi la Germania è costretta ad andare a carbone e a lignite, ancora peggio del carbone, soprattutto quando, e capita spesso, sole e vento latitano. Ha addirittura allargato le miniere nazionali: le emissioni di gas serra crescono e senza gas la transizione verde promessa dal governo semaforo sarebbe in panne.
Stupisce la leggerezza con cui da varie parti, compresa la Commissione europea, si sia dato per scontato un facile e indolore abbandono dei combustibili fossili, compreso il gas, anch’esso penalizzato dagli stringenti criteri della tassonomia europea. Salvo poi scoprire un’ormai strutturale carenza di offerta, la conseguente, impennata dei prezzi, compreso quello del petrolio, la stangata per famiglie e imprese, la crescita dell’inflazione e il rischio che la Bce debba intervenire sui tassi di interesse, raffreddando la crescita economica e sprecando l’effetto delle ingenti risorse messe a disposizione per la transizione. E quel che è peggio rischiando uno scontento sociale di vaste dimensioni che metterebbe la pietra tombale sul green deal. Ucciso, come capita per molte buone idee, dall’ estremismo anziché dal relismo con cui si cerca di metterle in pratica.
È evidente, per esempio, che in una situazione siffatta qualsiasi aumento delle risorse minerarie proprie, compresi gas e petrolio, dovrebbe essere benvenuto. Mi riferisco al gas presente nel Mediterraneo italiano, ma anche al litio, essenziale per le batterie, presente in Serbia e Germania, ma anche al titanio e altri materiali essenziali, questi disponibili in Italia. Ma tutti praticamente inestraibili per legislazioni stringenti e opposizioni locali. Meglio importarli da luoghi dove vengono estratti con costi ambientali 100 volte superiori.
La Germania contava e probabilmente conta ancora sull’apertura del North Stream 2, il gasdotto che dalla Russia dovrebbe apportare altri 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno, oltre a quelli già importati annualmente. Nel frattempo fa buon viso a cattivo gioco e almeno lei può contare sul carbone nazionale. Ma intanto è esplosa la crisi ucraina e gli Stati Uniti si non messi di traverso: se stai per imporre dure sanzioni economiche a Putin non lo riempi di valuta pregiata in cambio del suo gas. Ed eccoci allora di fronte al dilemma per eccellenza delle democrazie. Chamberlain, all’epoca primo ministro inglese, acconsentì all’annessione dei Sudeti da parte di Hitler in cambio di una pace che credeva duratura. Lui, non Hitler che lo mise nel sacco. Si prese i Sudeti e poi il resto. Anche questa volta l’Europa (e soprattutto la Germania) temo dovranno scegliere fra la difesa dei principi e la realtà. Un paese senza fonti stabili di approvvigionamento energetico è un paese a sovranità limitata. Evidentemente la lezione degli anni ’70 non è bastata. Si tenterà di tenere distinte le due questioni. Sanzioni per tutto il resto, business as usual per il gas. Sarebbe conveniente per l’Europa e per Putin. Ma prima o poi bisognerà mettere mano a questa fragilità europea. Come avevamo già detto 50 anni fa.
Dalle piazze ai palazzi