IL RACCONTO DAll'ucraina

La direttrice nord-sud dell'invasione russa è impraticabile

Daniele Raineri

A Chernobyl i ponti sono troppo esili e le particelle radioattive s’attaccano ai vestiti. Il governo ha schierato settemilacinquecento soldati che in caso di sfondamento russo non potrebbero fare molto e per adesso si tengono nascosti

Chernobyl, dal nostro inviato. Abbiamo percorso la direttrice nord-sud dell’ipotetica invasione russa dell’Ucraina. Quella più veloce, che sfonderebbe il confine bielorusso, passerebbe attorno – o attraverso? –  la zona contaminata che circonda l’ex reattore nucleare di Chernobyl e porterebbe alla capitale Kiev, distante soltanto due ore di automobile (due ore in tempo di pace; in tempo di guerra ogni curva diventa un’incognita). C’è un fronte di guerra reale in questo momento in Ucraina ed è quello nel remoto est, contro i separatisti russi all’altro capo del paese, quattrocento chilometri di distanza. Questo fronte nord della guerra ipotetica fino a un paio di mesi fa non era nemmeno sorvegliato, ma adesso ha l’aria di una minaccia diretta alla capitale. Il governo ci ha spostato settemilacinquecento soldati, che in caso di sfondamento russo non potrebbero fare molto e per adesso si tengono nascosti e tengono d’occhio cosa succede. 

 

Gli ucraini che frequentano la zona contaminata di Chernobyl – rare squadre di lavoratori che fanno turni di manutenzione di qualche giorno e poi escono –  sono scettici sull’idea che un’invasione russa passerebbe proprio di qui. Evgeny, che c’era anche nell’aprile 1986 quando l’incidente al reattore costrinse a evacuare tutta la popolazione, si stringe nelle spalle, dice al Foglio che i ponti esili della zona non reggerebbero i carri, non è questa la strada per le divisioni corazzate che muovessero da nord verso sud. Dietro di lui c’è il luna park di Pripyat, che come tutto il resto della zona è abbandonato da trentacinque anni. Le macchinine degli autoscontri sono ferme nella neve, tutte le parti metalliche sono arrugginite, le finestre degli edifici sono vuote, i lampioni sono spenti, la ruota panoramica è bloccata per sempre. Svetlana dice che non ci sono infrastrutture, non ci sono grandi strade o attraversamenti strategici, la zona di Chernobyl esiste come se fosse fuori dal tempo e questo la rende complicata come varco verso la capitale.

 

Nell’unico negozio, qualche chilometro indietro, la commessa aveva detto che non vuole parlare di cose militari e cerca invece un marito. I soldati, come i visitatori, devono stare attenti a dove mettono i piedi e a come è diviso il territorio: ci sono parti agibili dove si può camminare e parti dove invece le particelle radioattive si attaccano alle scarpe e ai vestiti. E a volte queste parti cambiano, si muovono, la mappa precisa è aggiornata ogni tre mesi. Ai lati delle strade piantati nella neve ci sono i segni gialli di pericolo con il simbolo dell’atomo. Se le particelle finiscono dentro il corpo umano invece che sui vestiti distruggono gli organi. Per questo quando si esce dalla zona contaminata c’è una procedura per esaminare persone e veicoli e impedire che le particelle invisibili escano dalla zona contaminata e invadano l’Ucraina normale. Ci si passa due volte in due posti diversi, dentro macchinari appositi. Nei casi più tenaci, si devono lasciare sul posto i vestiti che saranno distrutti. 

 

Dall’altra parte del confine, che è a otto chilometri dal luna park, dieci giorni fa sono arrivati i soldati e i carri russi con il pretesto di un’esercitazione. Lo ha deciso il presidente Vladimir Putin, che ha una predilezione per la gestione da vicino delle crisi militari e spesso prende decisioni che spetterebbero ai generali. Il presidente della Bielorussia, Aljaksandr Lukashenka, è in debito con Putin per l’appoggio ricevuto un anno fa durante la repressione interna delle proteste popolari e quindi gli garantisce appoggio senza condizioni. Assieme, costringono gli ucraini a occuparsi anche della teoria della direttrice nord-sud.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)