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Caserme piene, portafogli vuoti. I muscoli di Putin
Sovrastimato il ruolo economico di Mosca per il nostro paese. E la partita del metano con l’Ue è tutta da giocare
Immaginiamo per un attimo che la Russia faccia parte dell’Unione Europea. Ovviamente si tratta di un’ipotesi irrealizzabile, ma che ci aiuta a visualizzare il peso piuma della Federazione Russa in campo economico. Basta dare uno sguardo ai dati della Banca Mondiale: se Mosca fosse parte dell’Ue, sarebbe il 27esimo paese (su 28) per reddito medio, misurato in pil pro capite a parità di potere d’acquisto. I cittadini russi guadagnano un terzo in meno degli italiani, e più solo dei bulgari. Per aspettativa di vita sarebbe ultima, condividendo il fondo classifica con il resto dell’Europa orientale. Sulla mortalità infantile non andrebbe meglio: ancora penultima, ancora una volta meglio solo della Bulgaria. Per spesa in ricerca e sviluppo sfigurerebbe meno, ma sarebbe comunque ventesima su 28 ipotetici paesi membri. Non proprio piazzamenti da grande potenza quale aspira (anzi, pretende) a essere.
E’ forse proprio questa contraddizione – caserme piene, portafogli vuoti – che porta la Russia di Vladimir Putin a mostrare sistematicamente i muscoli per dimostrare la propria egemonia. Se militarmente l’Unione Europea esce dal confronto con le ossa rotte, dal punto di vista economico non c’è partita: l’economia russa (tenendo sempre conto del differente costo della vita) raggiunge appena un quinto di quella europea, una differenza non giustificata dalla popolazione Ue più numerosa.
E con un paese che soffre di una domanda interna tanto modesta si possono fare pochi affari. In Italia il dibattito pubblico ha invece sovrastimato sistematicamente il ruolo economico di Mosca per il nostro paese. Anche qui, let the data speak for themselves. Scambio commerciale tra gennaio e novembre 2021 (ultimi dati disponibili): 19,7 miliardi di euro, cioè un terzo di quello con gli Stati Uniti. Export italiano in Russia 7 miliardi di euro, cioè l’1,5 per cento di quanto fatturano le imprese italiane che commerciano con i mercati esteri. Mosca è la quattordicesima destinazione per le merci italiane, dopo Romania e Turchia. Chiaramente per alcune regioni e alcuni settori la Madre Russia assorbe una fetta più rilevante del fatturato. Parliamo per esempio di abbigliamento, mobili, elettrodomestici e macchinari. Ma secondo i numeri del ministero degli Esteri si rimane comunque a percentuali a una cifra.
Questi numeri non possono nascondere il fatto che la Russia – per il suo ruolo geopolitico, militare ed energetico – sia un attore importante nello scacchiere internazionale in qualche modo legato al nostro paese, per ragioni storiche e politiche. Dimostrazione ne è che top manager di aziende italiane, invitati a partecipare a un incontro virtuale con Vladimir Putin, sono accorsi numerosi, a partire da società come Generali, Unicredit, Intesa Sanpaolo ed Enel. Tutte realtà con interessi economici nell’ex Urss, a partire dalle banche. Secondo un report di Credit Suisse gli istituti di credito italiani sono tra i più esposti su Mosca, per circa 30 miliardi di dollari (al pari delle francesi). E’ in particolare la meneghina Unicredit a generare il 4 per cento dei ricavi dalla Russia e vantare 7 miliardi di prestiti. Forse troppo, visto che l’ad Andrea Orcel si è chiamato fuori dall’acquisto di Otkritie Bank, tra le maggiori banche commerciali del paese su cui Unicredit aveva messo gli occhi ufficialmente appena un paio di settimane fa. Motivazione ufficiale: “il contesto politico” e i rischi geopolitici.
Ma sono ovviamente gli idrocarburi il piatto forte del Made in Russia. Il nostro paese è – ahinoi – uno dei migliori clienti di Putin: nel 2020 il 40 per cento (dati Eurostat) del gas naturale che abbiamo consumato per riscaldare le case e generare elettricità è arrivato da Est. Una dipendenza da cui siamo così assuefatti che siamo costretti a continuare a comprare il gas russo nonostante le impennate di prezzo viste negli ultimi mesi. Ma come l’Europa non può fare a meno del metano che sgorga dai rubinetti russi, Putin non può fare a meno degli europei. Gazprom esporta il 67 per cento proprio nei paesi dell’Unione Europea e non potrebbe riposizionarsi rapidamente verso nuovi mercati. Se un eventuale conflitto armato con l’Ucraina dovesse portare a nuove sanzioni e al blocco dei gasdotti, perderebbe l’accesso al mercato europeo, e con esso il sostegno essenziale che gli idrocarburi garantiscono alla fragile economia russa e al rublo. Se l’Europa dipende dalla Russia, Putin è un pusher che non può fare a meno del suo migliore cliente.