Cosmopolitics
Johnson tira dritto, il report sul partygate è dimezzato. S'aspettano i cannibali e 300 foto
L'inchiesta di Sue Gray denuncia la violazione degli "alti standard" richiesti al governo britannico. Ma buona parte delle feste emerse sono diventate materia di indagine di Scotland Yard. Ora i Tory devono decidere se attuare la loro rivolta
Il rapporto sul partygate è arrivato, riguarda soltanto quattro delle sedici feste tenute a Downing Street dalla primavera del 2020 fino all’autunno del 2021 perché le altre dodici sono di competenza di Scotland Yard, dice che sono stati violati gli “alti standard” richiesti al governo britannico e al premier, Boris Johnson, e che molte persone che consideravano inopportuni i festini non hanno denunciato, per paura delle rappresaglie. Johnson è subito andato in Parlamento, si è di nuovo scusato, ha ringraziato Sue Gray, che ha condotto l’inchiesta, e ha detto: vado avanti. Ci saranno dei cambiamenti nell’organizzazione dell’ufficio di Downing Street, ci saranno più controlli, ma nulla di quel che è accaduto è una ragione buona per dimettersi. “I get it and I’ll fix it”, ha detto Johnson, posso sistemare tutto, in fondo io sono quello che fa le cose e le porta a compimento, ha detto Johnson, nei boati dei Comuni, e ha citato la Brexit “done”.
Keir Starmer, il capo dell’opposizione laburista, ha detto che “l’autorevolezza morale” del premier, il fondamento stesso del servizio del capo di governo come diceva, citazione killer, la Thatcher, l’essenza di quel che si definisce “patriottismo”, è compromessa. E per questo il premier dovrebbe avere “la decenza” di fare un passo indietro. Così anche l’ex premier Theresa May, conservatrice come il premier, e molti altri. Ma Johnson, nella sua versione del celebre “no collusion!” di Trump dopo il Russiagate, ha detto che l’inchiesta non ha trovato nulla che giustifichi il passo indietro. Ma proprio come con Trump, il report stabilisce che le regole sono state infrante e che la leadership del paese ne ha la responsabilità, ma buona parte di quel che è accaduto nelle feste e anzi l’esistenza stessa delle feste sono ora sotto il vaglio di Scotland Yard. Che in realtà è l’istituzione che ha avuto il comportamento più controverso in questa storia allo stesso tempo opaca e chiarissima. Inizialmente la polizia ha detto che non c’era niente da indagare, e così è partita l’inchiesta di Sue Gray, che però, mentre continuavano a uscire immagini e indiscrezioni, si è ritrovata di nuovo Scotland Yard in mezzo: ora sarà la polizia a definire se ci sono state delle violazioni, e ha 300 foto e 500 pagine di documenti da valutare, pure se la sua credibilità è ridimensionata.
Il Partito conservatore dovrà decidere cosa fare: dopo aver minacciato e rumoreggiato, con molti esponenti che hanno chiesto le dimissioni di Johnson, ha detto di voler attendere il report della Gray. Ora il report è arrivato ma è dimezzato, tanto che il premier è convinto che, con qualche modifica interna al suo staff e magari qualche rimaneggiamento del governo, potrà sopravvivere. Fin dall’inizio, il partygate è stato un test della volontà cannibale dei conservatori: Johnson non ha mai puntato, nella costruzione della sua leadership, sull’integrità, ed è sempre andato bene così, al suo partito e anche agli elettori. Se è cambiato qualcosa però non saranno gli elettori a segnalarlo, ma un’altra, snervante lotta di potere dentro ai Tory, i cannibali. E trecento foto, naturalmente.