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La propaganda strepita in tv e parla di guerra in Ucraina. Che ne pensano i russi?

Micol Flammini

I cittadini non hanno voglia di sentire parlare di guerra, dicono che è improbabile e che il presidente russo sta bluffando. Non è più il 2014. Cronaca dagli schermi di Mosca

Roma. Dmitri Kiselev, una delle voci più vibranti del putinismo, ha concluso la settimana con il suo programma televisivo “Vesti Nedeli”, le notizie della settimana, gridando che gli Stati Uniti stanno spingendo l’Ucraina a invadere il Donbass. Parla sempre con tono catastrofico e accusatorio e ha detto che Kiev si sta lasciando prendere dalla frenesia militare e sta armando i suoi cittadini: “I battaglioni di volontari si stanno addestrando per  una guerra offensiva per conquistare il Donbass, la Crimea e le regioni meridionali della Russia come Rostov sul Don e Kuban”. L’esercito ucraino  dal 2014 è migliorato, ma le sue capacità rimangono molto inferiori rispetto a quello russo. Potrebbe desiderare di riconquistare i suoi territori nel Donbass, ma pensare a un’azione offensiva da parte di Kiev ha senso soltanto per la propaganda di Mosca. Vladimir Solovev, che usa toni molto simili a quelli del suo collega, ha detto che è altamente improbabile che la Russia attacchi l’Ucraina e come argomento per convincere i sui telespettatori ha usato la fratellanza: “Lo scenario più terribile che puoi immaginare nella tua vita, e quello che gli anglosassoni sognano, è una guerra tra persone fraterne”. In televisione, altri programmi raccontano dei piani ucraini per attaccare i soldati russi, alcuni titoli dei giornali raccontano di sabotatori arrivati da Kiev già in azione. La propaganda di Mosca fa più rumore possibile, ma la risposta dei russi sembra disinteressata, incredula, sono stanchi di sentire parlare di guerra. 

 

I russi non credono alla guerra, non credono sia imminente, la ritengono piuttosto improbabile e soprattutto non ne hanno voglia. Se la propaganda grida loro  che il conflitto è vicino, che la Russia verrà trascinata in un nuovo scontro – il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha affermato che se  inizierà non sarà per volontà di Mosca – che  sarà colpa degli americani e degli ucraini, la tendenza dei russi è quella di tapparsi le orecchie. Il che dovrebbe essere un segnale anche per il presidente russo, Vladimir Putin, se è vero che con questa provocazione contro l’Ucraina, contro gli Stati Uniti e contro la Nato vuole  accumulare capitale politico per la sua rielezione nel 2024. Se la guerra inizierà, la Russia si ritroverà sotto nuove sanzioni. La situazione economica si è fatta più dolorosa dopo la pandemia e sebbene i russi dicano di non preoccuparsi troppo per le restrizioni, come scrive Andrei Kolesnikov del Carnegie di Mosca, è cambiato il loro modo di pensare alla guerra. L’impennata patriottica del 2014, avuta dopo  l’annessione della Crimea, ha perso forza e i russi credono sempre meno di essere circondati da nemici, mentre un conflitto  fa sempre più paura. Secondo un sondaggio del centro Levada, il 56 per cento  dei cittadini teme una nuova guerra mondiale, uno scenario che la propaganda sta amplificando.  In molti sono convinti che sia tutto un bluff, che Putin stia cercando di ottenere dall’occidente qualcosa che ancora non sa. Il modus operandi di Mosca è spesso silenzioso, rapido, il tempismo e la visibilità  con cui sta ammassando truppe ai confini ucraini fa pensare invece  ai russi che non intenda attaccare. 

 

Che i russi non vogliano la guerra, anzi che non ci credano o che la temano, non vuol dire che la Russia deciderà di non attaccare. Ieri al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Mosca e Washington hanno dimostrato che è sempre più difficile parlarsi. L’ambasciatore russo Vasyly Nebenzia ha preso la parola per definire l’incontro un esempio di “diplomazia megafono” per “fuorviare la comunità internazionale” e mettere a disagio Mosca. L’americana Linda Thomas-Greenfield gli ha risposto: “Immagina quanto saresti a disagio se avessi centomila soldati al tuo confine”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)