Shintaro Ishihara, il controverso re di Tokyo

Giulia Pompili

Amico di Yukio Mishima, maverick della politica nipponica. Chi era l'ex governatore della capitale che è morto ieri a 89 anni

E’ stato una delle figure più controverse della politica giapponese: faceva scandalo quando parlava, per le decisioni che prendeva, ma era incredibilmente popolare. Molti dei temi che sollevava, che all’epoca gli avevano fatto guadagnare l’etichetta dell’“uomo più pericoloso del Giappone” (ben prima che esistesse il populismo contemporaneo) oggi sono affrontati dalla classe politica sia a destra sia a sinistra.  Shintaro Ishihara, storico governatore di Tokyo e maverick della politica nipponica, è morto ieri nella capitale giapponese a 89 anni. Era diventato famoso per meriti artistici: originario di Kobe, nel 1956, alla fine del suo percorso di studi alla Hitotsubashi University di Tokyo, vinse il prestigioso premio letterario Akutagawa grazie a un romanzo, “Taiyo no Kisetsu”, la stagione del Sole, poi trasformato in un film di successo dal regista Takumi Furukawa. Scrisse molto, in seguito, romanzi e sceneggiature, tentò perfino una versione musicale dell’“Isola del tesoro”. Passò del tempo da bohémien, raccontano le cronache dell’epoca, in moto in Sudamerica e sulla sua barca da competizione, il Contessa III. 


E’ di quel periodo la famosa fotografia che lo ritrae insieme al suo amico Yukio Mishima, con cui condivideva la passione per la scrittura e le arti. Insieme rappresentavano un certo tipo di conservatorismo che ancora oggi è solo giapponese, e che ha a che fare con la grandezza dell’Impero e una nostalgia nazionalista mai risolta. Mishima, il 25 novembre del 1970, si ammazzò in un rituale, tentando un colpo di stato con le Forze di autodifesa nipponiche, criticando la Costituzione post-bellica e urlando “Lunga vita all’Imperatore!”. Per i conservatori nipponici più puri, quello di Mishima fu un messaggio giusto, ma estremamente egoista. Della coppia artistica preferirono Ishihara, che due anni prima era entrato in politica per mettersi al servizio della comunità. Trascorse molto tempo nella Dieta giapponese, tra le fila del Partito liberal democratico, e sebbene si stesse facendo strada come politico la notorietà, anche internazionale, arrivò soltanto nel 1989. 


E’ l’anno in cui in Giappone esce un libro controverso, “Il Giappone che sa dire no”, un saggio sulla “superiorità” giapponese che si era assoggettata troppo non solo ai due nemici di sempre, secondo Ishihara – cioè i comunisti e la Cina – ma anche all’America. I salvatori che avevano dotato il Giappone di un sistema democratico si erano presi troppo, scriveva Ishihara, e i giapponesi avrebbero dovuto imparare a “dire di no” (nella lingua giapponese usare l’espressione “no”, o “iee”, è quasi considerato un segno di maleducazione). In mezzo a molte teorie piuttosto confuse e piene di retorica nazionalista, per la prima volta sin dal dolorosissimo Dopoguerra i giapponesi leggevano qualcosa che in molti pensavano: avremo forse regalato troppo all’America?


La notorietà di quel libro lo premiò quando si candidò a governatore di Tokyo, nel 1999. Sulla poltrona di leader di una città metropolitana che ha il pil più alto del mondo insieme a New York, Shintaro Ishiara ci restò fino alle dimissioni, il 31 ottobre del 2012, quando tutti dissero: è la fine di un’èra (in realtà aveva continuato a frequentare la politica, ma con un declino inarrestabile a cui non si adattava). A Tokyo era apprezzato soprattutto per aver trasformato la città in una efficiente macchina da produzione, e non aveva paura di prendere decisioni impopolari (quando la città fu invasa da corvi  aggressivi decise di abbatterli;  quando ci fu il razionamento energetico dopo l’incidente di Fukushima, e lui spense le luci della città). Ma finiva ciclicamente sulle prime pagine dei giornali per  dichiarazioni e  provocazioni al limite della legalità: sulle donne, sui comunisti, sugli immigrati. E poi quella che forse lui considerava la sua miglior medaglia: nel 2012 guidò una campagna di raccolta fondi per acquistare le isole Senkaku, che la Cina rivendica come suo territorio e chiama Diaoyu. Ne nacque una crisi diplomatica tra Tokyo e Pechino e uno standoff, davanti a quegli isolotti nel mar cinese orientale, che va avanti ancora oggi. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.