Lega anti Putin
Storia della giravolta leghista, che adesso in Europa vota contro la Russia
Finiti i tempi delle foto nella Piazza rossa. Ma Salvini per il Ppe rimane inaffidabile. E c’è una data da segnarsi
Bruxelles. Nel suo perenne dilemma tra partito antisistema e partito di governo, la Lega di Matteo Salvini ha realizzato una delle più incredibili giravolte mai viste al Parlamento europeo, cambiando radicalmente la sua posizione sulla Russia. Sono finiti i tempi delle magliette con la foto di Vladimir Putin sulla Piazza rossa di Mosca o dentro l’Aula della plenaria di Strasburgo. E’ superata l’èra dei discorsi infiammati per difendere la “democrazia” russa dalle critiche europee ispirate dagli Stati Uniti. E’ terminata l’epoca delle proposte di risoluzione per chiedere al Consiglio europeo di “decretare la fine delle sanzioni”. L’Hotel Metropol, Gianluca Savoini, i viaggi delle delegazioni leghiste in Crimea o gli accordi tra i giovani della Lega e quelli di Russia unita? Come se non ci fossero mai stati.
Da un anno, i deputati europei di Salvini sono perfettamente allineati all’establishment dell’Ue nel condannare i comportamenti della Russia. La data esatta dell’inizio di questo allineamento è il 21 gennaio 2021. Pochi giorni prima di entrare a far parte del nascente governo di Mario Draghi. Quel 21 gennaio 2021 la delegazione della Lega al Parlamento europeo aveva stupito tutti, votando a favore di una risoluzione per condannare la detenzione dell’oppositore russo, Alexei Navalny. Qualche ora prima Marco Zanni, il leghista presidente del gruppo di estrema destra Identità e democrazia (Id), aveva preso la parola in Aula con un discorso che non aveva precedenti per la Lega sotto la guida di Salvini. “Bene hanno fatto l’Ue e gli stati membri a condannare quanto accaduto”, aveva detto Zanni: “Non possiamo permettere che ci siano stati con cui cooperiamo e dialoghiamo e che utilizzano l’arma giudiziaria o addirittura potenzialmente l’arma dell’attentato per mettere a tacere l’opposizione politica”. Appena quattro mesi prima, il 17 settembre del 2020, la Lega aveva votato contro la condanna dell’avvelenamento di Navalny, insieme a tutto il gruppo Id, dove convive con i filorussi di Marine Le Pen, dell’AfD tedesca e della Fpö austriaca. Difendere Putin, criticare le sanzioni perché danneggiano l’Italia, richiamare la fratellanza cristiana: quella era la linea che Salvini aveva scelto per la sua Lega e che lui stesso aveva difeso da deputato europeo. Il 9 giugno del 2015, un anno dopo la Crimea e il Donbass, si era presentato al Parlamento europeo con la maglietta di Putin in risposta agli “eurocretini che giocano a fare la guerra alla Russia. Ma secondo voi bisogna avere paura di Putin, o dei tagliagole islamici? Dateci Putin, e prendetevi Renzi!”, aveva detto Salvini.
Com’è possibile un cambiamento così repentino, senza nemmeno uno straccio di dibattito interno, almeno un Consiglio federale, se non un Congresso? C’è un passaggio intermedio che ha portato la Lega sulla linea dell’establishment europeo. Sempre il 17 settembre 2020, i deputati salvinisti si erano astenuti su una risoluzione di condanna del dittatore bielorusso, Aljaksandr Lukashenka. In quei giorni sui giornali italiani erano ripartite le eterne voci su un ipotetico avvicinamento della Lega al Partito popolare europeo. Giancarlo Giorgetti aveva avuto contatti con la Csu. Agli occhi del Ppe, Navalny e la Bielorussia erano stati una conferma dell’impossibilità di dialogo con la Lega. Un paio di mesi dopo lo stesso Giorgetti aveva implicitamente criticato la scelta. “E’ giusto che noi riflettiamo su come cambia il mondo e su come magari dobbiamo cambiare anche noi”, aveva detto Giorgetti al Foglio il 2 novembre, rispondendo sulla Bielorussia. La crisi del governo Conte 2 e la voglia di Salvini di partecipare al governo Draghi hanno fatto il resto. Dal 21 gennaio gli eurodeputati leghisti hanno deciso di rompere l’unità pro Putin di Identità e democrazia, mettendosi a chiedere sanzioni contro il regime e gli oligarchi. Risoluzione dopo risoluzione, gli appelli nominali del Parlamento europeo registrano i salvinisti schierati come un sol uomo per difendere l’Ue dalla minaccia di Mosca e gli oppositori russi dagli artigli di Putin.
Nell’ultima del 16 dicembre sull’Ucraina, chi ha votato a favore di “severe sanzioni economiche e finanziarie (…) al fine di far fronte alle minacce immediate e credibili rappresentate dalla Russia”?: Baldassarre, Basso, Bizzotto, Bonfrisco, Borchia, Campomenosi, Casanova, Ceccardi, Ciocca, Conte, Da Re, Dreosto, Gancia, Lancini, Lizzi, Panza, Rinaldi, Sardone, Tardino, Tovaglieri, Zabelli, Zanni. E quella sulla repressione della società civile e di Memorial lo stesso giorno? Gli stessi. E quella del 15 settembre sulla direzione delle relazioni politiche Ue-Russia con cui il Parlamento europeo ha chiesto di fermare il gasdotto Nord Stream 2? Sempre gli stessi. La tentazione filorussa c’è sempre. “E’ necessario aprire il Nord Stream 2 (sic) per aumentare la fornitura all’Europa”, ha detto mercoledì il leghista Paolo Borchia, usando come scusa il prezzo dell’energia. Lo stesso Borchia ha partecipato venerdì e sabato al vertice dei partiti di estrema destra a Madrid, che si è concluso con una dichiarazione che promette solidarietà sulla minaccia della Russia, subito rinnegata da Marine Le Pen. Ogni volta che si parla di un avvicinamento o di un ingresso della Lega nel Ppe, sono queste ambiguità che alimentano lo scetticismo su Salvini. Il gruppo dei popolari guarda da vicino quello che fa il leader leghista con il governo Draghi. Il suo presidente, Manfred Weber, la considera la prova del nove per eventuali discussioni. Ma, che sia su Russia, Ue o Draghi, Salvini rimane un’incognita. “Non è affidabile”, ha spiegato al Foglio una fonte del Ppe: “Con Forza Italia sotto il 10 per cento, avremmo bisogno di un grande partito moderato in Italia. Con Giorgetti possiamo parlare. Ma Salvini è un problema”.
Dalle piazze ai palazzi