Un giorno di ordinaria follia democratica in Spagna salva la riforma del lavoro
Il governo dopo aver approvato la svolta normativa con un decreto in scivolata ha avuto difficoltà a trovare i voti per confermarla in Parlamento, ma tutto si è risolto grazie a un inaspettato colpo di scena
Tradimenti, alleanze innaturali, sviste clamorose, errori fatali. Giovedì sera, in occasione del voto del Parlamento spagnolo sulla cruciale riforma del lavoro, il premier socialista, Pedro Sánchez, ha di nuovo mostrato quanto sia fortunato quando azzarda acrobazie numeriche. Lo è stato nel 2018 quando, con una mozione di censura, ha rovesciato il governo Rajoy. Lo è stato un’altra volta, nel 2020, quando è ridiventato premier con solo due voti di margine: in quell’occasione l’unico deputato del movimento ¡Teruel Esiste!, il cui voto a favore era determinante, prima era stato tenuto al riparo dai canti delle sirene in una località segreta e poi aveva ricevuto una scorta per le minacce ricevute. E ora lo è stato di nuovo, nel voto per confermare o abrogare la riforma del lavoro varata per decreto a dicembre, alla cui approvazione è vincolato lo sblocco delle prossime tranche miliardarie del Recovery Fund europeo.
Questa riforma, tessuta in lunghi mesi dalla ministra del Lavoro, Yolanda Díaz, era molto importante per la tenuta del governo, che l’aveva presentata come il pilastro portante dell’intera legislatura. La Díaz – che è anche vicepremier e che guida il movimento Podemos a cui non è neppure iscritta (l’unica sua tessera è quella del Partito comunista) – è riuscita a mettere d’accordo i sindacati e l’associazione degli imprenditori. Ma poi il governo, dopo aver approvato la riforma con un decreto in scivolata il 28 dicembre, ha avuto difficoltà a trovare i voti per confermarla in Parlamento. Infatti, se i centristi di Ciudadanos, benché estranei alla maggioranza, avevano deciso per il “sì” alla riforma, la gran parte dei partiti indipendentisti catalani, baschi e galiziani, che negli ultimi anni hanno quasi sempre appoggiato Sánchez nei momenti delicati, questa volta si sono invece sfilati, in base a calcoli intorno alla domanda “mi si nota di più se voto ‘sì’ o se voto ‘no’?”.
Alla maggioranza mancava quindi un solo voto. E c’era anche una beffa. Qualche mese fa proprio Podemos, il movimento guidato dalla promotrice della riforma del lavoro, ha perso un deputato: infatti ad Alberto Rodríguez – che era riconoscibile sui banchi dei peones per la sua matassa di dreadlock – è stato revocato il seggio in seguito a una condanna per un vecchio scontro con la polizia. E il suo posto è ancora vacante.
Alla fine si era trovata la soluzione: i due deputati di Upn, la Unión del pueblo navarro che vota sempre in modo indistinguibile dal Partito popolare, avrebbero appoggiato in Parlamento la riforma del lavoro in cambio di un aiuto da parte dei socialisti nel consiglio comunale di Pamplona.
Siamo a giovedì, il giorno del voto. Ed ecco che a sorpresa entrambi i deputati di Upn, all’insaputa del loro stesso partito, votano “no”. Per Sánchez, per la Díaz, per il governo, per il Psoe e per Podemos questa è una catastrofe. Anche alcuni deputati baschi e catalani rimangono spiazzati. Loro hanno votato “no” solo per dare fastidio, sicuri che la riforma sarebbe passata comunque grazie a Upn. Volevano mostrare a Sánchez che non deve dare per scontati i loro voti. Ma non avevano intenzione di fare davvero danni.
All’arrivo dei risultati del voto, finito 175 a 174, la presidente della Camera, la socialista Meritxell Batet, consapevole dell’inesorabile débâcle del suo partito, annuncia: “La riforma è abrogata”. Festeggiamenti sui banchi dell’opposizione, gelo su quelli della maggioranza. Ma no! Un momento! Si scopre che, intorno alle cinque del pomeriggio, il deputato popolare Alberto Casero, colpito da gastroenterite acuta, ha votato telematicamente da casa, secondo la procedura da remoto introdotta per la pandemia. E che ha sbagliato a votare. Quindi sono i “sì” a essere 175. “La riforma è approvata”, ratifica la Batet.
Ora i popolari annunciano ricorsi. Ma la decisiva riforma del lavoro intanto è passata così, grazie alla confusione causata da un mal di pancia a las cinco de la tarde di un giorno di ordinaria follia democratica.
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