il tour diplomatico

Macron arriva a Kiev con una sola carta: implementare gli accordi di Minsk

Micol Flammini

Il presidente francese ha cercato un equilibrio tra Putin e Zelensky, ma la visita non è stata un successo. Torna a Parigi con poche certezze e vaghe promesse smentite. I punti trattati, le tappe future e soprattutto cosa intendeva il capo del Cremlino quando ha detto all'Ucraina “resisti bellezza mia”

Emmanuel Macron torna in Francia come era partito, con poche certezze, qualche promessa da parte del presidente russo, Vladimir Putin, e gli auspici del capo di stato ucraino Volodymyr Zelensky. Dopo aver trascorso la giornata di lunedì a Mosca, ieri era a Kiev per raccontare cosa si erano detti lui e Putin da un capo all’altro del lunghissimo tavolo di marmo e per ascoltare le posizioni di Zelensky. Le due visite sono state molto diverse. A Mosca, Macron si è trovato davanti il solito Putin dal volto annoiato e minaccioso durante la conferenza stampa in cui ha alzato  i toni, abbandonandosi a una quasi dichiarazione di guerra nei confronti della Francia. Raccontano che per Macron fosse molto complesso capire il presidente russo, ci sono stati problemi di traduzione e forse per questo ha lasciato che la conferenza stampa si trasformasse  in un duetto sbilanciato, in cui uno, il francese, parlava di pace, l’altro, il russo, ammiccava alla guerra. A Kiev invece Macron si è trovato davanti uno Zelensky  disponibile, ma che sul volto aveva l’espressione di sfiducia che il presidente ucraino ha spesso.  Il capo dell’Eliseo ha portato in Ucraina la proposta di implementare gli accordi di Minsk, una proposta che per il presidente ucraino è molto rischiosa anche se per il momento è vuota e non vuol dire molto: come cambiarli non è stato detto. Gli accordi di Minsk del 2015 sono vantaggiosi per la Russia che infatti insiste affinché tornino al centro delle trattative, ma per l’Ucraina sono una resa e di fatto porterebbero alla perdita di sovranità nella zona del Donbass in cui si sono autoproclamate le due repubbliche separatiste  di Donetsk e Lugansk con  a capo un governo fantoccio che riconosce soltanto Mosca. E' una zona distrutta, in cui va avanti una guerra lenta e sanguinosa da ormai otto anni, ricostruirla sarebbe oneroso, e agli occhi di alcuni leader occidentali, perderla per l’Ucraina potrebbe essere più vantaggioso che rimetterla in sesto. Ma non la pensa così Kiev. Per Mosca gli accordi di Minsk invece rappresentano una buona leva di influenza all’interno della politica ucraina. Macron al fianco del presidente Zelensky ha detto che gli accordi sono la strada giusta per arrivare alla pace, ha detto che il presidente Putin è disposto a parlarne e Zelensky anche ha detto di essere pronto a discuterne ma ha  eluso la domanda su quali cambiamenti sarebbe disposto ad apportare agli accordi. Giovedì ci sarà un incontro dei consiglieri dei leader dei paesi del Formato Normandia (Francia, Germania, Ucraina  e Russia) e il tema sarà: far ripartire gli accordi di Minsk. 

 

Erano due le parole proibite durante questo incontro. La prima, accordi di Minsk, è stata indorata con la promessa di un cambiamento; la seconda, finlandizzazione, è stata smentita più volte. Poco prima che Macron incontrasse Putin era uscita la notizia che la finlandizzazione dell’Ucraina (la sua neutralità rispetto a Nato e Russia) fosse una delle opzioni da prendere in considerazione. In conferenza stampa con Zelensky, il presidente francese ha smentito: “Non ho mai pronunciato quella parola”. Il presidente ucraino ha ammesso: “Non l’avevo mai sentita prima”. La visita di Macron non è stata il successo che lui forse si aspettava, lo aveva previsto chi dubitava della sua affidabilità come mediatore per la soluzione della crisi tra Russia e Ucraina, ma il presidente francese si è assunto un rischio molto grande. L’incontro con Putin si sarebbe potuta trasformare in un’umiliazione diplomatica, non è stato così anche se  poco ci è mancato, a cominciare dall’attesa di un’ora e mezza. Ma ancora più grave è stato il malinteso sugli accordi presi. Poco prima di raggiungere Kiev, Macron aveva detto di aver avuto l’occasione di accordarsi con Putin per prevenire un’escalation. Poco dopo il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha ridimensionato le affermazioni, dicendo che non c’è stato nessun accordo perché Parigi non è il capo della Nato, quindi non è possibile raggiungerne uno. A Kiev il presidente francese ha parlato degli impegni di  Putin a evitare  un’escalation e a ritirare le truppe russe che ha ammassato al confine tra Bielorussia e Ucraina al termine delle  esercitazioni militari. Anche l'Ucraina inizierà presto delle esercitazioni militari, sono una risposta a quelle russe e verranno utilizzate le armi che l’esercito ha ricevuto finora dai partner occidentali: droni Bayraktar e missili anticarro Javelin e Nlaw.

 

Putin è stato  contestato per una frase detta durante la conferenza stampa con Macron riguardo all’accettazione degli accordi di Minsk da parte dell’Ucraina: “Ti piace o non ti piace, resisti paziente bellezza mia”. Parte della stampa internazionale aveva preso la frase come una citazione di una canzone punk che parlava di necrofilia, in tanti avevano condannato il linguaggio violento del presidente, che in realtà non voleva citare una canzone punk ma ha fatto ricorso a un’espressione russa  usata per dire a qualcuno che deve fare una cosa, anche se controvoglia. Spesso è rivolta ai bambini che fanno i capricci. Putin voleva comunque dire all’Ucraina: ti piaccia o no, gli accordi si faranno. Zelensky ha però messo l’accento su un’altra parte della frase di Putin, e non c’entra la necrofilia. Prima ha detto che è corretto chiamare l’Ucraina bellezza, perché in effetti è  bella. Poi ha parlato della pazienza e della resistenza di Kiev: “La nostra  pazienza  viene dalla nostra saggezza e influenza il nostro modo di rispondere a queste provocazioni con dignità”. Macron era lì vicino, ascoltava, forse a Kiev la traduzione era migliore che a Mosca, ma sapeva già che questo viaggio è stato un ritorno al punto di partenza: la Russia che  promette di  cambiare gli accordi e l’Ucraina che va a scoprire il bluff, si fa vedere pronta a discutere e davanti si trova sempre il solito muro. Succede dal 2014. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)