Bigino diplomatico

Le parole chiave degli accordi di Minsk, che non possono mettere fine alla guerra

Micol Flammini

La parte più controversa riguarda il conferimento di uno status speciale alle zone di Donetsk e Lugansk, l’organizzazione di elezioni locali, il ripristino del controllo del governo ucraino sul confine e il disarmo dei combattenti. Di cosa si parla agli incontri tra Ucraina, Russia, Francia e Germania e perché si teme la balcanizzazione dell’Ucraina

La riunione di Berlino tra i consiglieri dei leader di Ucraina, Russia, Francia e Germania è iniziata con molte tensioni attorno. Il litigio del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, con la sua omologa inglese, Liz Truss.  La notizia che Mosca potrebbe chiedere  al suo personale diplomatico non essenziale a Kiev di ritirarsi. Le esercitazioni militari in Bielorussia e le  navi russe che stanno bloccando il mare di Azov e il mar Nero. In questa atmosfera Andriy Yermak (Ucraina), Dmitri Kozak (Russia), Emmanuel Bonne (Francia) e Jens Plötner (Germania) si sono ritrovati a parlare per trovare una via d’uscita al conflitto  nella regione ucraina del Donbass e allentare anche le tensioni ai confini di Kiev, attorno ai quali crescono le truppe di Mosca. La piattaforma di dialogo che tiene insieme questi  paesi si chiama Formato Normandia e da quando è stata creata,  giugno del 2014, ha lavorato per trovare una soluzione al conflitto nell’Ucraina orientale. I colloqui dei quattro paesi hanno portato al protocollo e al memorandum di Minsk del 2014 e al pacchetto di misure del 2015. Questi documenti vengono chiamati accordi di Minsk, la città in cui sono nati, al tempo in cui il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka provò a mostrare   equidistanza tra la Russia e l’Europa – se non fosse stato chiaro allora, oggi lo è: era una farsa. 

 

Gli accordi indicano le condizioni per arrivare alla risoluzione del conflitto. La parte più controversa riguarda il conferimento di uno status speciale alle zone di Donetsk e Lugansk, l’organizzazione di elezioni locali, il ripristino del controllo del governo ucraino sul confine e il disarmo dei combattenti. La Russia insiste nel dire che non c’è soluzione al di fuori degli accordi di Minsk e dice anche che quegli accordi non la riguardano direttamente:  sostiene di essere solo una mediatrice per le repubbliche filorusse. Non è vero: lo status di Donetsk e Lugansk la riguarda eccome, per questo l’Ucraina non è disposta ad accettare gli accordi così come sono. Le due repubbliche, con un governo locale filorusso, sarebbero una leva nelle mani del Cremlino per influenzare la politica ucraina. L’accordo potrebbe portare molti disordini a Kiev e sollevare proteste contro il governo centrale. L’Ucraina si troverebbe frammentata, divisa, balcanizzata, più vulnerabile. Sulla rabbia ucraina peserebbero la consapevolezza di aver combattuto una guerra per otto anni per nulla, e poi c’è l’economia. La guerra ha fatto perdere all’Ucraina  280 miliardi di dollari di pil. L’annessione della Crimea ha privato il pil di Kiev di 58 miliardi di dollari.

 

L’Ucraina non vuole questi accordi, è disposta a cambiarli, ma c’è il timore che gli altri partner  la spingano ad accettare compromessi che vadano bene a Mosca e non  a Kiev pur di avere rassicurazioni sulla sicurezza. Ieri, in una telefonata con Lavrov, anche il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio ha espresso il suo sostegno agli accordi e ha sottolineato che in caso di aggressione le conseguenze sarebbero gravi. L’altra parola che circola per risolvere il conflitto è finlandizzazione: la neutralità dell’Ucraina che comporterebbe l’impossibilità per Kiev di entrare nella Nato. Per ora l’opzione non è contemplata dal Formato Normandia, ma se ne parla molto nei circoli europei, quindi potrebbe finire anche sul tavolo dei quattro. E’ importante notare che con il rispetto degli accordi di Minsk sarebbe comunque difficile per Kiev entrare nella Nato: Donetsk e Lugansk voterebbero sicuramente contro l’adesione. Non è chiaro per quanto tempo il Formato Normandia rimarrà una piattaforma praticabile. Per il momento la situazione è ferma a due ipotesi dannose per Kiev: la balcanizzazione o la finlandizzazione dell’Ucraina. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)