La Corte di giustizia dell'Ue ha respinto il ricorso di Polonia e Ungheria sullo stato di diritto
Per i governi nazionalisti di Varsavia e Budapest è l'ennesima sconfitta politica e giuridica nel loro sistematico tentativo di distruggere dall'interno il sistema di regole dell'Ue
Bruxelles. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha respinto il ricorso di Polonia e Ungheria contro il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto, che permette alla Commissione di tagliare i fondi comunitari ai paesi che non rispettano i diritti fondamentali. Per i governi nazionalisti di Varsavia e Budapest è l’ennesima sconfitta politica e giuridica del loro tentativo di distruggere dall’interno il sistema di regole dell'Ue. Nella sua sentenza, la Corte ha voluto ricordare i principi che Mateusz Morawiecki e Viktor Orbán contestano apertamente. “Il rispetto da parte degli stati membri dei valori comuni sui quali si fonda l’Unione” costituisce “una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei trattati a uno stato membro”, compresi quelli finanziari. “L’Unione deve essere in grado, nei limiti delle sue attribuzioni, di difendere tali valori”, hanno detto i giudici di Lussemburgo. Diversi governi hanno accolto la sentenza, invitando la Commissione ad agire. “Agli stati che rifiutano i valori dell’Ue possono essere rifiutati i soldi dell'Ue”, ha detto il premier belga, Alexander De Croo. “I nostri fondi dovrebbe essere concessi solo quando i governi rispettano la democrazia, i diritti umani e una giustizia indipendente”, ha detto il ministro irlandese per gli Affari europei, Thomas Byrne.
La sentenza ha implicazioni nella politica interna, nel momento in cui Polonia e Ungheria rischiano di vedersi tagliare milioni di euro di fondi dall’Ue. Il 3 aprile gli ungheresi sono chiamati alle urne per elezioni che potrebbero trasformarsi in un referendum su Orbán. “La Corte europea di giustizia ha deciso di non dare soldi ai ladri. Sfortunatamente il conto è a carico degli ungheresi”, ha detto il candidato dell’opposizione ungherese, Péter Marky-Zay. Il ministro della Giustizia di Orbán, Judit Varga, ha accusato la Corte di “abusare dei suoi poteri” e di “decisione politica per il nostro referendum sulla protezione dei bambini” (il referendum è su una legge anti Lgbt approvata dopo l’introduzione del meccanismo di condizionalità. Secondo Morawiecki, “la centralizzazione e federalizzazione sono un processo pericoloso”. Per il viceministro della Giustizia polacco, Sebastian Kaleta, la sentenza è “un ricatto per privarci del nostro diritto di autodeterminazione”.
In realtà, ora il grande interrogativo è se la Commissione vorrà usare i suoi poteri per sanzionare i governi di Polonia e Ungheria tagliando almeno una parte dei fondi. In questi mesi Ursula von der Leyen non ha agito usando la scusa della causa davanti alla Corte dell’Ue. Ieri la presidente della Commissione ha lasciato intendere di non avere fretta, accennando a “settimane” prima di adottare le linee guida sul meccanismo di condizionalità. Una volta inviata la notifica formale che contesta violazioni dello stato di diritto, ci vorranno comunque tra i cinque e i nove mesi prima che la Commissione proponga agli altri governi di tagliare una parte dei fondi dell’Ue destinati a Polonia e Ungheria. “Spero sinceramente che oggi sarà il giorno in cui la Commissione capisce il suo dovere storico e assuma il suo ruolo di guardiano dei trattati”, ha detto l’eurodeputata dell’opposizione ungherese Katalin Cseh. Niente è meno sicuro.