A kiev
Oggi in Ucraina è la festa dell'Unità
Gli ucraini sventolano la bandiera azzurra e gialla per la loro nuova festa nazionale. Tengono i negozi aperti, ostentano tranquillità anche riempiendo i profili Twitter di post in cui si vedono ristoranti pieni. Il messaggio è: "Noi non abbiamo paura”
Oggi a Kiev è la festa dell’Unità. Non si lavora, alle dieci di mattina si canta l’inno nazionale, poi si mette la bandiera azzurra e gialla al davanzale o incastrata nel finestrino della macchina. È una festa nuova, è stata decisa solo lunedì con un decreto del presidente Volodymyr Zelensky e la data scelta è quella in cui – secondo l’intelligence americana – potrebbe cominciare l’invasione. Ma Zelensky non ha fissato la festa nazionale pensando a questa ipotesi, nel decreto dice che serve a “consolidare la forza della società ucraina” di fronte ad altre minacce, quelle “crescenti della guerra ibrida, della propaganda e delle pressioni morali e psicologiche sull'opinione pubblica”. Sono i principali timori di Kiev, cui si aggiunge la paura che ai tavoli diplomatici chi pagherà il prezzo del bullismo russo non sarà Putin ma l’Ucraina, che intanto ha già subìto ancora ieri un attacco cyber al ministero della Difesa e all’Esercito.
Il governo continua a invitare alla calma non solo per rassicurare la popolazione, ma anche per scongiurare questa ipotesi. Se gli americani e gli europei si aspettano che, se mai i carri russi dovessero entrare, Kiev capitolerebbe in due giorni, allora sono forse propensi a concedere troppo. Per questo gli ucraini sventolano la bandiera azzurra e gialla e tengono i negozi aperti, ostentano tranquillità anche riempiendo i profili Twitter di post in cui si vedono ristoranti pieni per San Valentino e sale da ballo affollate: “Mentre le ambasciate vengono evacuate e i cittadini stranieri invitati a lasciare il paese, noi non abbiamo paura”. Non scappano, ci tengono a mostrare persino un po’ di speranza: “Putin avrebbe vinto se fosse riuscito a spaventarci e di conseguenza a destabilizzare il paese, senza bisogno di un’invasione. Noi gli stiamo dimostrando che ha sbagliato i suoi calcoli”, dice al Foglio Oleksa Sokil. Lui è un veterano della guerra in Donbass che fa da istruttore per i civili iscritti ai gruppi di difesa territoriale, i volontari pronti ad aiutare i soldati dell’esercito in caso di necessità.
“Il problema è che con questo allarme quelli che sono finiti sotto sanzioni economiche siamo noi ucraini, non la Russia”, dice Volodymyr Yermolenko, che dirige la rivista Ukraine World. Le compagnie aeree cancellano i voli da e per Kiev, i turisti sono spariti, i capitali stranieri sono in fuga e forse anche quelli locali, visto che oligarchi se ne vanno – solo nella giornata di domenica in venti hanno lasciato l’Ucraina sui loro jet privati.
Ma la fuga che più fa arrabbiare Yermolenko è un’altra, quella dei militari europei della Missione di osservazione dell’Osce che abbandonano il paese nel momento in cui ci sarebbe più bisogno di loro. La missione serve a vigilare sul Donbass, dove ci sono i separatisti filo-russi. Nell’ambito della guerra ibrida lì si temono operazioni false flag di agenti provocatori di Mosca, e gli osservatori internazionali servirebbero proprio a smascherarle subito e disinnescare le possibili conseguenze. Senza di loro, c’è il rischio che tutto vada secondo i piani russi. “Non mi capacito che i soldati europei se ne vadano nel momento in cui può accadere qualcosa di rilevante rispetto al loro compito qui. Sembra che noi ucraini crediamo nelle possibilità e nella forza dell’Unione europea più di quanto non ci creda la stessa Unione europea” dice Yermolenko. “C’è stato uno slittamento, il discorso dei leader su questa crisi è passato velocemente da ‘cosa serve all’Ucraina per difendersi da Putin’ a ‘cosa serve a Putin’”.
Per Yermolenko l’obiettivo del Cremlino è vincere nel negoziato con gli occidentali e non prendersi il territorio dell’Ucraina, quindi adesso bisogna stare attenti alle rassicurazioni che gli vengono date. Zelensky vuole continuare il percorso per entrare nella Nato, e non vorrebbe sentire il cancelliere tedesco Olaf Scholz dire a Putin che non è in agenda. Come non vorrebbe sentir parlare Emmanuel Macron di un ritorno dell’Ucraina agli accordi di Minsk, che Kiev considera ingiusti, impraticabili e una trappola.